Giovalli: «La fiction italiana? Spartita tra i produttori»

L’ex enfant prodige Mediaset, da anni in «pensione». «Tornerei a lavorare solo per una Tv del 6 per cento»

da Milano

Lui è uno che si racconta così: «Io non mi sono dimesso solo dalla Tv. Mi sono dimesso dalla vita». Non dall’esistenza, certo, ma dalla vita che facciamo tutti noi, ufficio, lavoro, stress, figli, mogli, mariti. A un certo punto ha detto basta e si è messo in poltrona, anzi sulla sdraio. A fare? Un nulla pieno di tante cose. «Leggo, vedo film, passeggio, ascolto musica, viaggio, passo ore a guardare il mare. Non ho mogli così non devo litigare con nessuno». Quando parli con Roberto Giovalli, 51 anni, non sai se evitare di prenderlo sul serio o invidiarlo fin nelle viscere. Enfant prodige della tv commerciale (a 28 anni era direttore dei palinsesti delle reti Mediaset, allora Fininvest), sette anni fa ha buttato alle ortiche carriera, potere e soldi e si è messo in pensione. Certo, di quelle super lusso: tre mesi ai Caraibi, quattro a Formentera, puntatine in Svizzera e in Italia. Appunto, di passaggio a Milano, ci ha concesso qualche ora del suo preziosissimo tempo per parlare della sua vita e di questa nostra Tv che lui vede, ormai, come se venisse da Marte. Si è tenuto un appartamentino a Milano 2, il quartiere costruito da Berlusconi, che negli anni Ottanta gli diede in mano i palinsesti delle sue reti.
Lei è uno dei pochi che ha lasciato Mediaset...
«Quando diedi le dimissioni la prima volta, Berlusconi mi rispose: “non le accetto”. Io risposi che doveva parlare con il mio avvocato. Finì che mi pagarono per due anni senza far nulla pur di non farmi lavorare per qualcun altro».
Perché se ne andò?
«Visioni differenti di strategia. Mediaset si era presa le più grandi star: Baudo, Carrà, Bonaccorti. La Rai, come contromossa, voleva portarci via Sandra Mondaini e Raimondo Vianello. Io, benché li adorassi, dissi di lasciarli andare perché contro di loro potevamo guerreggiare alla pari. Il Cavaliere non volle e alla fine la Rai tirò fuori dal cilindro Celentano con Fantastico e s’inventò una nuova era».
Poi tornò...
«Mi cercarono per mettere in piedi Tele+. Poi quando Berlusconi entrò in politica nel ’94, me ne andai di nuovo, non aveva senso lavorare senza di lui. Pier Silvio mi richiamò nel ’99 come direttore di Italia Uno. Poi mi offrirono di creare La7. Un’esperienza bellissima finita subito con la vendita di Telecom».
Che però le ha permesso di prendersi una liquidazione miliardaria e vivere in panciolle...
«Si favoleggia tanto delle mie buonuscite. Ma se si pagano i giocatori è perché valgono. Restando nel giro televisivo avrei guadagnato molto di più. Da La7 presi sette miliardi: me li faccio bastare, non ho grandi esigenze, non ho famiglia, mantengo solo le mie case».
Alla fine del giro, Berlusconi l’ha fatta lavorare solo per lui...
«In Italia, è ovvio, c’è un duopolio. Ma l’anomalia non è un’azienda come Mediaset che cerca di agire sul mercato a proprio favore, l’anomalia è l’esistenza di tre reti pubbliche che ha costretto gli avversari ad averne altrettante. Ma tutto ciò sarà spazzato via dall’avvento della Tv via Internet, chi ne avrà il controllo sarà il re».
Qui si aprirebbe un lungo discorso... Come vede la Tv italiana uno che vive a Formentera e passa a Milano ogni tanto?
«Non sono certo io, che sto fuori, titolato a parlare. Dico solo cioè che è evidente: il sistema italiano è lontano anni luce da quello americano, dove la creatività è alimentata da un mercato enorme. In Italia vige invece il manuale Cencelli dei produttori. Per quanto riguarda la fiction, ogni casa di produzione ha una quota percentuale sui programmi che vanno in onda. Questo limita la creatività e dunque la possibilità di esportare i prodotti all’estero. Da noi non si producono telefilm, ma teleromanzi, che piacciono solo in Italia. Per non parlare delle situation comedy».
Cioè?
«Alcune sono realizzate solo per compiacere le star della Tv, che si piccano di fare gli attori e non solo i presentatori. Dai tempi di Sandra e Raimondo, e ora con Gerry Scotti, Michelle Hunziker e via dicendo, molta parte di ciò che va in onda prima delle 19,30 è creata solo per accontentare qualcuno».
Però lei in questa vita ci ha sguazzato, ha aiutato a creare i canali commerciali, per alcuni un «male d’Italia»...
«Ma questo è puro mercato: non c’è niente di bello o brutto, c’è quello che piace. Le reti Mediaset si rivolgono a un pubblico vasto che vuole guardare programmi come Buona domenica, C’è posta per te, Grande Fratello, anzi sono bravissimi a interpretare i gusti delle persone, come lo è Berlusconi. La gente prima delle Tv private si leggeva Stop e Grand Hotel, mica Kant».
Non si annoia, non si sente solo?
«Conosco me stesso, mi sveglio e guardo le cose belle che ho, starei peggio facendo cose che non mi piacciono, per esempio avere una compagna fissa. Figli? Non credo di essere all’altezza di allevarli».


Tornerebbe a lavorare?
«Solo se mi dessero in mano una Tv a tre condizioni: un lauto stipendio, un progetto che possa arrivare a un risultato economico certo, un obiettivo di share del 6-7 per cento, in sostanza un pubblico in cui potrei riconoscermi».
Una nuova La7 per esempio?
«Tutto da vedere se ci sarà e come sarà».

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