Il giudice che voleva interrogare un cane

Il giudice che voleva interrogare un cane

LA PACE SIA CON VOI. Perché l’Associazione nazionale magistrati, sempre pronta a drizzare il pelo quando sente parlare di riforma dell’ordinamento giudiziario, non spende una parola sul giudice di pace, la cui attività fu celebrata nel 1998 dall’allora presidente della commissione giustizia della Camera, Giuliano Pisapia (Rifondazione comunista), come «un passo importante verso una giustizia penale più efficiente»? Possibile che la stessa Anm non trovi nulla da ridire sui Goa (giudici onorari aggregati), né sull’istituzione delle cosiddette sezioni stralcio, che hanno mandato a farsi benedire milioni di processi civili, né sulla soppressione di una figura cardine del nostro sistema giudiziario, il pretore, mediante l’introduzione del giudice unico, una riforma caldeggiata dal Guardasigilli dell’epoca, Oliviero Diliberto, rifondarolo scissionista ora nel Partito dei comunisti italiani?
Mi sono posto queste domande mentre leggevo, sconcertato, alcune sentenze raccolte da un mio amico avvocato, il quale se le va a ripassare nei momenti di depressione per tirarsi su di morale. In effetti mi sembrava di stare su Scherzi a parte. Qualche esempio. Un giudice di pace lamenta di non aver potuto interrogare un cane dobermann. Un suo collega dà credito a un esposto inviatogli da un tizio che si firma John Gotti, proprio come il boss mafioso newyorkese, e che invoca addirittura l’annullamento delle elezioni Bush-Gore: siccome il sedicente Gotti ritiene che il suo voto spedito per corrispondenza non sia stato conteggiato alle presidenziali del 2000, egli s’appella a una fantomatica Convenzione di Washington, che tutelerebbe i diritti dei cittadini americani residenti all’estero, e pretende che venga disposta la comparizione delle parti (richiesta subito accolta dal giudice di pace, che ha convocato in udienza l’ambasciata degli Stati Uniti). Un professionista di Bologna cita in giudizio impresa edile e geometra, colpevoli d’avergli sbagliato la collocazione dei sanitari nel bagno, e il giudice gli dà torto argomentando che il wc funziona ugualmente, nonostante la porta vada a sbattere contro la tazza.
L’avvocato mi ha illustrato a voce altre bizzarrie con cui s’è trovato a fare i conti: un giudice di pace ha affisso all’ingresso del suo ufficio un regolamento su come ci si deve vestire d’estate; un altro ha motivato una sentenza con tre righe scarse; un altro ancora dà sempre e comunque ragione agli avvocati di sesso femminile. Un Goa è stato invece sollevato dall’incarico a furor di popolo perché pretendeva la presenza dei carabinieri in aula durante le udienze ed esigeva un posto auto riservato nel cortile del tribunale.
A molti giudici ordinari, già noti per la loro spiccata propensione al lavoro, non è parso vero di potersi sbarazzare del contenzioso civile affidandolo a giudici onorari. Infatti questo contenzioso è particolarmente complicato da gestire e avaro di soddisfazioni mediatiche (non si va in Tv per una causa di confini tra due poderi). Così sono state arruolate tra i laureati in giurisprudenza schiere di magistrati volontari, senza alcuna selezione. Sono entrati a far parte dell’organico marziani che non avevano mai messo piede in un’aula di giustizia e che si erano dedicati per una vita a svolgere le mansioni di insegnante o di impiegato. Per di più s’è deciso di stipendiarli a cottimo, ovvero un tot per udienza e un tot per sentenza. Provate a immaginare che cosa è accaduto: giudici di pace che tengono udienza ogni santissimo giorno feriale, portandosi sul ruolo quattro-cinque procedimenti alla volta. O che hanno escogitato questo trucchetto: quando un avvocato solleva un’eccezione, anziché decidere con una semplice ordinanza, trattengono la causa per la sentenza, salvo poi rimetterla nuovamente sul ruolo per l’ulteriore corso e per emettere alla fine dell’istruttoria un’altra sentenza. Espedienti che all’erario costano un patrimonio. Non per nulla un giudice di pace napoletano ha confidato al mio amico avvocato - io stento a crederci - di guadagnare 75.000 euro l’anno. Netti. Quanto ai Goa, essendo stati reclutati per smaltire il vecchio contenzioso civile anteriore al 1995, si guardano bene dal farlo con solerzia: perderebbero il lavoro e tornerebbero a spasso nei giardinetti.
Eppure a ogni inaugurazione dell’anno giudiziario il procuratore generale, snocciolando dati e raffronti, rileva compiaciuto come in termini di produttività la magistratura onoraria sia assai efficiente. Ma fino a che punto la giustizia può essere amministrata secondo la logica aziendale dei numeri? Molte sentenze strampalate dei giudici di pace finiscono con l’essere appellate o impugnate e quindi le giurisdizioni superiori (Corte d’appello e Cassazione) si ritrovano ingolfate da una marea di cause civili decise a capocchia in primo grado.
Però i magistrati onorari, voluti da un governo di pentapartito e valorizzati dai governi Dini e Prodi, piacciono molto a Rifondazione comunista. Sarà per questo che non dispiacciono all’Associazione nazionale magistrati?
THELMA & LOUISE. Incipit di un articolo scritto da Rosy Bindi e Livia Turco per il supplemento Salute di Repubblica: «Nei mesi scorsi abbiamo iniziato un viaggio nella sanità e nei servizi sociali del Paese. Sentivamo l’urgenza di guardare in faccia quell’Italia che...».

D’accordo, ma quell’Italia avrà sentito l’urgenza di guardare in faccia loro due? (Frattanto ho appreso da Magazine del Corriere che «Livia Turco da qualche tempo si è infighita»: dev’essere la vicinanza della Bindi).
stefano.lorenzetto@ilgiornale.it

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