Il giudice al ministro: "Obbligati a muoverci ma ci togliete le auto"

IL CASO Paradossi della burocrazia. Il Guardasigilli blocca i veicoli del tribunale: "Troppo costosi". Resta una vettura per 240 toghe. E il capo dei gip scrive a Roma

Il giudice al ministro: "Obbligati a muoverci ma ci togliete le auto"

di Luca Fazzo e Enrico Lagattolla

A piedi, o in tram. Così i giudici dovrebbero andare ad interrogare gli arrestati, se venissero applicate immediatamente due decisioni del ministro della Giustizia Paola Severino: entrambe encomiabili nella loro ispirazione, ma poco compatibili con la malconcia situazione delle risorse del tribunale milanese. Tanto che un magistrato poco avvezzo ai protagonismi come Gabriella Manfrin, capo dei giudici preliminari milanesi, ha preso carta e penna per scrivere al ministro Severino, e spiegare senza tanti giri di parole che così non si può andare avanti.
Il primo dei due provvedimenti ministeriali è contenuto nel cosiddetto «decreto svuota carceri», già approvato dalle Camere, che tra l’altro stabilisce che per gli interrogatori di convalida degli arresti sia il giudice a dover andare dove il fermato è recluso, e non quest’ultimo a essere portato in tribunale: evitando così dispendio di uomini e mezzi, e lo spettacolo indecoroso delle file di uomini incatenati che vagano per gli uffici giudiziari. Provvedimento pieno di buon senso, e che peraltro ribadisce una norma già inserita nel codice, spesso disattesa in molti tribunali ma non in quello di Milano: da quando si è insediata all’ufficio del giudice preliminari, la Manfrin ha richiamato i magistrati del suo staff (ovvero quelli che decidono e convalidano gli arresti, che rinviano a giudizio, che fanno i processi abbreviati e i patteggiamenti) a scomodarsi dall’ufficio e a andare a fare gli interrogatori in carcere.
Ma per andare a Bollate o a Opera ci vuole l’automobile. E qui arrivano i guai. Perché nel paese della autoblu si scopre che invece in tutto il tribunale di Milano esistono solo sette autovetture di servizio. Più carcasse, a dire il vero, che auto: tanto da ricadere quasi tutte sotto la scure del dispaccio arrivato dal ministero della Giustizia nelle scorse settimane: è vietato spendere soldi per aggiustare autovetture di servizio immatricolate prima del 1995. Anche questo è un provvedimento di buon senso, spendere migliaia di euro (sedicimila, nell’ultimo bilancio del tribunale milanese) per tenere insieme dei catorci non ha senso. Peccato che delle sette auto al servizio dei giudici milanesi, sei abbiano più di diciassette anni, quindi d’ora in avanti non potranno più essere aggiustate, quindi tra poco smetteranno di andare. In servizio resterà solo una Punto bianca, destinata a soddisfare le esigenze di duecentoquaranta magistrati.
Questo ha scritto il giudice Manfrin al ministero della Giustizia. Da Roma finora non è arrivata nessuna risposta.
Quindi si andrà avanti così, finché le sei auto scassone continueranno in qualche modo a marciare: poi si vedrà. Ma sulla sfondo c’è una questione lontana dall’essere risolta, che è la scarsità di risorse ormai cronica di un ufficio delicato come quello dei giudici per le indagini preliminari: trentadue magistrati (ma l’organico ne prevederebbe trentanove) su cui pesa l’intero carico del primo controllo sulle richieste della Procura. Nessuno può essere arrestato, nè prosciolto, nè rinviato a giudizio, senza una decisione del gip.

Da tempo al settimo piano del tribunale ci si lamenta la disparità di trattamento nell’assegnazione dei giudici: che però non giustificano casi come quello che recentemente ha visto un gruppo di condannati per fatti di criminalità organizzata uscire dal carcere perché il gip dopo un anno non aveva ancora scritto la sentenza.

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