Ma Giulio resiste alla sinistra: non ritiro la mia candidatura

Il sette volte premier: «Votiamo e vediamo. Se dovessi farcela, sarei un presidente per unire non per dividere». E poi punzecchia Di Pietro

Adalberto Signore

da Roma

Non riescono a far breccia né i consigli di «devozione e amicizia» che arrivano da Francesco Cossiga, né le pressioni che in queste ultime ore vengono sempre più insistenti dall’Unione. Giulio Andreotti va avanti per la sua strada. E conferma l’intenzione a correre per la presidenza del Senato, non esclude di potercela fare nel caso in cui si arrivi al terzo scrutinio e tranquillizza il centrosinistra sull’eventualità che un suo successo possa portare un terremoto politico tale per cui si tornerebbe alle urne solo per Palazzo Madama. Il tutto - in perfetto stile democristiano (nel senso più alto del termine) - levandosi pure qualche sassolino dalla scarpa.
La parola d’ordine del sette volte presidente del Consiglio è «dialogo». Questo ripete a Francesco Rutelli che di prima mattina lo va a trovare nel suo studio di piazza San Lorenzo in Lucina, questo ribadisce nelle molte telefonate che seguono con esponenti di entrambi gli schieramenti. «Nessun passo indietro. Arriviamo al voto - spiega ai suoi interlocutori - e vediamo. Io sono tranquillo, d’altra parte non è che la presidenza del Senato sia il mio sogno di una vita...». Concetto che ripete a tarda sera a Controcorrente, trasmissione di approfondimento di SkyTg24. «A me - dice il senatore a vita - la candidatura l’hanno offerta e io l’ho accettata con la speranza che questo favorisse un certo dialogo. Finora questo dialogo non si è aperto, ma io non devo ritirare niente».
Andreotti, dunque, non è intenzionato a fare passi indietro neanche dopo le offerte che gli sono arrivate dall’Unione (presidenze di commissione e non solo). Anzi, continua a tessere la sua tela, puntando sul dialogo, ripetendo che non si sente il candidato di una parte e contando su quei senatori che, nel segreto dell’urna, potrebbero preferirlo a Marini nonostante le ferree indicazioni di partito. E tranquillizza anche chi nell’Unione gli manifesta preoccupazione per l’ipotesi che una sconfitta di Marini possa portare allo scioglimento del Senato con conseguenti nuove elezioni solo per una Camera (eventualità di cui hanno dissertato molti costituzionalisti e che ieri è stata rilanciata a Porta a Porta dal capogruppo della Margherita Willer Bordon): «Assolutamente no. Dovessi farcela, e non è detto, sarei un presidente per unire, non certo per dividere».
Il senatore a vita, dunque, si propone alla guida di Palazzo Madama come figura super partes. Un profilo che emerge anche da un’intervista al settimanale Vanity Fair in cui ne ha sia per Romano Prodi che per Silvio Berlusconi. Dovrebbero lavorare insieme, dice, mettendo da parte «il modo di fare da reucci» mostrato in questi giorni. La campagna elettorale, aggiunge, «non è premessa facile» perché «ci sono stati toni esagitati come mai» è capitato. «Ma ora - dice - sarebbe necessario che Prodi e Berlusconi lavorassero insieme». Poi, un invito al dialogo con la Cdl al leader dell’Unione. «Non è detto - spiega in un’intervista al settimanale News - che avere una maggioranza strettissima sia necessariamente un handicap. Certo, si dovrà tenere conto che non si hanno le “quadrate legioni” per cui non ci si potrà infischiare dell’opposizione». Con una chiosa: queste elezioni segnano il ritorno del «compromesso» con la «“c” maiuscola», un «valore essenziale nella vecchia Dc».
Così, sempre nell’ottica del dialogo, Andreotti appoggia la riconferma di Carlo Azeglio Ciampi e ha parole di stima per il presidente della Camera in pectore. «Vista la situazione di tensione - dice - la cosa migliore sarebbe pregare il presidente di rimanere al suo posto. Abbiamo anche un dato comparativo. Mitterrand, nonostante fosse malato, ha potuto svolgere perfettamente un secondo settennato». Eloquenti anche le sue parole su Fausto Bertinotti: «È un democratico vero. E spero non gli dispiaccia se dico che è un moderato, nel senso buono». Un elogio che stona un po’ con la vignetta che gli riservava ieri Liberazione, quotidiano di Rifondazione comunista (vicino a Palazzo Madama troneggia un’enorme piovra con sotto una domanda: «Un’ombra si aggira nei dintorni... Chi potrà essere?»).
Infine la stoccata a chi in questi giorni è tornato sulle sue vicende giudiziarie. In particolare Antonio Di Pietro, che si è detto contrario alla candidatura Andreotti perché nella sua sentenza l’associazione mafiosa è stata prescritta.

Tagliente la replica di Andreotti: «Un tempo fu più cortese, perché in pendenza della mia vicenda, durante una riunione che ebbe a Larino, presenti il vescovo e alcuni sacerdoti, disse che l’accusa che mi facevano a Palermo era del tutto infondata».

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