«È giusto fare ordine Ma la qualità si trova pure nei piccoli centri»

«Tagliare per tagliare? Non ha alcun senso. Ci sono piccoli ospedali che rappresentano delle eccellenze e chiuderli, basandosi solo su una mera contabilità dei posti letto sarebbe un errore».
Dritto al cuore del problema, come da suo costume, il professor Alberto Zangrillo, presidente della seconda sezione del Consiglio superiore di Sanità, l’organismo che determina i requisiti minimi di classificazione delle strutture e dei servizi sanitari per l’accreditamento delle attività sanitarie, spiega al Giornale cosa pensa riguardo al dibattito spending review e ai problemi strettamente connessi con il suo impegno professionale di medico, è direttore dell’unità operativa di Anestesia e Rianimazione cardio-toracico-vascolare al San Raffaele di Milano, e di tanti altri suoi colleghi sparsi per l’Italia nel variegato mondo dell’assistenza sanitaria. Ed è un pensiero, il suo, in linea col modo di vedere del ministro Balduzzi.
Professore non crede che sia comunque venuto il momento di mettere un po’ d’ordine?
«Mettere ordine certo. Che non vuol dire, però, coniugare l’esigenza diffusa di far crescere ulteriormente il livello del nostro sistema sanitario con la soppressione di piccole strutture dove, magari, l’assistenza e il pronto intervento funzionano e funzionano egregiamente. Al contrario queste realtà vanno mantenute, preservate e aiutate a modernizzarsi entrando in una grande rete».
Un piccolo ospedale che lavora in sintonia con un grande ospedale, in altre parole...
«Un nuovo modo di dare assistenza che consente di confrontarsi, di scambiare informazioni preziose, in tempo reale, secondo il criterio britannico dell’hub dove cioè un grande ospedale d’eccellenza distribuisce informazioni e indirizza le richieste di un medico di un piccolo ospedale che si trova davanti a una situazione di emergenza particolare».
Incoraggiante ma forse ancora uno scenario futuro per il nostro sistema sanitario?
«Tutt’altro. Abbiamo già fatto parecchi passi avanti, siamo in piena sintonia col ministro Balduzzi, e siamo pronti per far interloquire il medico e assistere il paziente mettendo in condizione l’ospedale più piccolo di dialogare con quello più attrezzato».
Così pure il medico che lavora nel piccolo ospedale non si sente snobbato né sottostimato.
«Le faccio un esempio pratico. L’ospedale di Tione di Trento copre un intera vallata che in estate è affollata e in inverno pure. È un ospedale particolarmente efficiente e quindi solo per questo motivo andrebbe preservato. Ma può succedere che un collega di quell’ospedale si trovi di fronte a una particolare emergenza. Ecco che allora l’implementazione del dialogo e del confronto di conoscenze tra un centro piccolo e un ospedale maggiore diventa fondamentale per salvare una vita e dirottare un paziente vero la struttura sanitaria più vicina e adeguata».
Solo che questo «hub» di smistamento è ancora da inventare...
«No, esiste già e funziona, mi sento di dirlo con orgoglio, con grande efficienza. Sono le Regioni. Perché solo le Regioni monitorano costantemente le loro potenzialità sanitarie e solo le Regioni sono in grado di smistare in tempo in reale informazioni e di veicolare e pazienti nelle strutture giuste. Noi dobbiamo solo migliorare ulteriormente questo sistema e costituire anche una connessione interregionale per capire dove e come ci sono le competenze giuste e le strutture adeguate. Il numero dei posti letto non è il requisito fondamentale che deve portare alla chiusura di un ospedale».


Possiamo stare tranquilli con un lavoro in rete?
«Il nostro sistema è davvero all’avanguardia basti citare l’esempio della gestione delle complicanze dell’influenza H1N1. Abbiamo messo in essere un lavoro di 16 ospedali sperimentando una rete infrastrutturale periferica che ha dato eccellenti risultati».

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