Givenchy risplende grazie al talento made in Italy

ParigiCosa sarebbero le sfilate dell'alta moda francese senza gli italiani? «Un bel niente legato in oro» risponde uno degli uomini più potenti del fashion system d'Oltralpe minacciando chiedendo l'anonimato perché se fosse rivelata la sua identità perderebbe la faccia e forse non solo quella. Eppure ha ragione da vendere.
Nell'economia di un calendario sempre più ridotto ai minimi termini spiccano come fari nella notte due nomi di casa nostra: Armani e Valentino. Il più giovane couturier di Parigi è Ricardo Tisci, nato a Taranto nel '75, cresciuto a Cermenate in provincia di Como e da sei anni direttore creativo di Givenchy con un talento in crescita esponenziale. L'ha dimostrato anche ieri presentando un'indimenticabile couture: dieci capi da perdere la testa per bellezza, buon gusto e originalità. «Mi sono ispirato a Kazuo Ohno, il danzatore giapponese morto l'estate scorsa a 104 anni» spiega Tisci davanti ai suoi piccoli capolavori in tulle, piume, micropaillettes, bandine di pelle e pizzo imbottito.
«Da tempo volevo fare qualcosa sul Giappone - continua - ma non mi bastava l'idea della geisha, del kimono, della solita cerimonia del te». Ecco quindi che durante un concerto di Antony and the Johnson sente The crying Light, struggente brano dedicato al maestro e fondatore del Butoh (la cosiddetta «danza delle tenebre») che si esibiva in abiti femminili come impone la tradizione teatrale nipponica. A questo personaggio poetico («In un piccolo fiore è racchiuso l'universo» diceva Kazuo Ohno nella sua performance ispirata alle ninfee di Monet) Tisci unisce il ricordo infantile di Mazinga, Atlas e Ufo Robot: i primi cartoon giapponesi trasmessi in Italia negli anni Ottanta.
Così una sublime giacca tagliata a kimono davanti ha innumerevoli strisce di pelle bianca su tulle che riproducono in miniatura le volute dell'obi e dietro il viso di Ufo in pelle laccata fluorescente. Sulla schiena di un fulminante abito da sera in micropaillette rosate come le ali di una gru (4000 ore per cucirlo, 2000 per tagliare e dipingere a mano i minuscoli dischetti del ricamo)compare lo scudo di Mazinga in paillette catarifrangenti.
Indimenticabile il modello composto da un abito su cui è stata ricamata una gru con tanto di testa e becco a rilievo nel pizzo imbottito e sopra una specie di giacca-spolverino con 20 strati di organza che riproducono le ali aperte o spiegate dell'animale.
«Le sarte dicono che da anni non facevano cose tanto complesse» sostiene Tisci dichiarando di far fare tutta l'alta moda negli atelier parigini, mentre il prét à porter viene realizzato in Italia come le scarpe firmate Rossimoda e stavolta fatte da innumerevoli ingranaggi di orologio. Su scarpe e borse, comunque, nessuno può pensare di scrivere una storia parigina dal sapore squisitamente internazionale come Bruno Frisoni, talentuoso designer di Roger Vivier, storico marchio francese nella galassia del Gruppo Tods.
Stavolta il nostro eroe ha addirittura fatto una borsetta e un sandalo in piume di avvoltoio, mentre il celeberrimo tacco a virgola creato negli anni Cinquanta da Vivier, diventa un nuovo modello chiamato Vertigo, molto più adatto allo stile tra il rock e il punk in versione royality (con un delicato omaggio a Gianni Versace) della collezione Rendez Vous di questa griffe del made in France così bien fait en Italie. Si parla italiano anche da Worth, la più antica maison d'alta moda del mondo cui sta tentando di ridare vita con la politica dei piccoli passi il giovane couturier di origine veneta Giovanni Bedin.
Per la terza stagione di fila ha presentato otto corsetti-capolavoro ispirati da un abito ottocentesco di Worth fortunosamente ritrovato in Inghilterra.


«Era due vestiti in uno - spiega Bedin - un'allegoria del giorno e della notte magistralmente resa in tessuto, pizzo e ricami». Inutile dire che ogni corsetto riprendeva un solo elemento dell'abito: il pipistrello di pizzo nero, il sole di cordonetto d'oro, un bacio sotto le stelle oppure un volo di farfalle all'alba.

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