GLOBALIZZAZIONE

GLOBALIZZAZIONE

Giulio Tremonti ha scritto un libro brillante. Il pregio di La paura e la speranza (Mondadori) è la sua praticità fuori d’ogni schema. E a uscirne malmessi sono anzitutto gli ideologismi. Anzitutto quelli degli economisti consueti, ai quali è ormai subalterna anche la sinistra, veltroniana e no. Cosicché viene davvero da ridere pensando alla faccia di quei tanti economisti, alla Giavazzi, divulgatori di astrazioni ottimiste, mentre sfogliano questo libro.
Con Tremonti che parla diritto e così debutta: «Come si è visto in tante altre rivoluzioni, quella della globalizzazione è stata preparata da illuminati, messa in atto da fanatici... ». Parole sante, che corrispondono al senso comune, e ormai si argomentano coi fatti. Altro che promesse di un progresso che avrebbe reso migliore e pacificato tutto. «È cominciata la lotta per la conservazione o per il dominio delle risorse naturali e delle aree di influenza... ». E non solo: «La squadratura che si sta determinando tra offerta che resta fissa e domanda che cresce, ha avuto e avrà nel mondo un effetto strutturale sostanziale: la salita globale dei prezzi». Insomma il libro argomenta tutte le palmari evidenze che i dottrinari non vogliono vedere.
La globalizzazione non risolve i conflitti, ma ne alimenta di nuovi, come gli scenari di tensione tra Oriente e Occidente per le materie prime. E alle tensioni politiche ha aggiunto un aggravarsi di quella tra le culture. A ragione, considerando la questione del terrorismo arabo, si chiede infatti Tremonti: «E cos’altro è questa reazione, se non una modalità barbarica di difesa dell’identità, della memoria, della tradizione?». Insomma, risulta inevitabile dedurre l’opposto di quanto va predicando la più parte degli economisti: «Le scosse già registrate sono sufficienti per far tramontare l’idea fiabesca che il progresso economico possa essere continuo e gratuito». Infatti contro tutte le previsioni di pochi anni or sono sul reddito e la ricchezza, oggi in Europa «va a stare peggio chi stava già peggio. Sta meglio solo chi stava meglio», «gli operai occidentali si trovano infatti stretti nella morsa tra “salari orientali” e “costi occidentali”... ».
Questo smilzo libro serve insomma a ragionare, senza fidarsi più dei luoghi comuni e prendere atto che è proprio così, le cose stanno così come oggi le vede. V’è stata una «fanatica forzatura del mondo del liberismo economico». E le nostre paure sono più che giustificate, come la sfiducia di tutte le persone sensate nei rimedi del comunismo. Perché esso, secondo Tremonti, non è così diverso, come si pretenderebbe, dal capitalismo. Ambedue in fondo si propongono una via alla felicità che implica progressi plurali ed economicizzazione. E del resto oggi in Cina si applica la sintesi perfetta delle due ideologie, quella che il libro chiama appunto col nome di «mercatismo». Nella parte più riuscita del libro così infatti si spiega: «Il liberalismo si basava su un principio di libertà applicato al mercato, il comunismo su di una legge di sviluppo applicata alla società. Il mercatismo è la loro sintesi. Perché applica al mercato una legge di sviluppo lineare e globale». Ovvia quindi la deduzione: «Il comunismo non è quindi finito, si è solo trasformato, ha stretto alleanza con il capitalismo \. In particolare, è il comunismo a fornire al consumismo il codice di forza necessario per la sua diffusione lineare su scala globale». Si pensi soltanto a quanto è accaduto con Prodi, all’altrimenti inspiegabile attitudine più che positiva dei potentati economici nei suoi confronti: quale miglior riprova?
Ma l’immagine più esemplare di questo esito inquietante che può parere un assurdo solo ai dottrinari è anzitutto la Cina. «Nel 2050 il prodotto interno lordo (Pil) della Cina (40 trilioni di dollari) sarà maggiore di quello Usa (37 trilioni di dollari) e doppio di quello europeo (18 trilioni di dollari)». Il che significa che uno Stato il quale ha gli stessi confini che aveva ai tempi dell’Impero romano ed è retto da un consimile dispotismo, si avvia a divenire la potenza egemone. Mentre per quella data, proseguissero i trend nefasti del presente, la colonizzazione extracomunitaria dell’Europa sarebbe già del tutto compiuta.
Il libro ha però anche un sottotitolo positivo: «Europa: la crisi globale che si avvicina e la via per superarla». E la via di rimedio che in esso s’individua implica che l’Europa la smetta di accettare la confusione globale e ritrovi la propria anima. Sulla questione dei valori «per cominciare serve una visione della storia che non sia materiale ma spirituale». E per fugare ogni dubbio su cosa intenda, Tremonti fa seguire a questa frase la citazione di Papa Ratzinger: «Non si può governare la storia con mere strutture materiali, prescindendo da Dio». Con una certa coerenza il libro deduce insomma che se il male di quanto sta accadendo è in una economia che annienta lo spirito e standardizza tutto, la soluzione logica è invertire il processo. Mettere lo spirito ovvero la ragione e la morale prima dell’economia.
Dopo quanto si è detto si comprende bene dunque come per «la difesa dell’Europa non basta il Pil, serve un demos. Demos non è solo una demografia positiva, è qualcosa di più, è una visione strutturata e stabilizzata della società». Ed essa però nulla può avere a che fare coi vecchi rimedi. «La nuova struttura sociale è simile a internet, anche perché è in parte fatta propria dalle nuove strutture della globalizzazione: è orizzontale e flessibile, anarchica e federale». Non può essere infilata nei paradigmi statali consueti alle sinistre: richiede forme comunitarie, sussidiarietà, autonomie. Ma una sinistra che ha smesso di pensare non lo capisce: «La sinistra tende ancora automaticamente a identificare ciò che è “pubblico” con ciò che è “statale”». E quella delle sinistre del resto è doppia follia, perché la nuova geopolitica ha distrutto lo stato hegeliano, come quello keynesiano: «È finita l’età del debito e dei deficit pubblici». Non mancano infine altre idee positive per quanto riguarda l’Europa: estensione agli Usa di un trattato di Unione commerciale; spostamento dell’asse del prelievo fiscale dalle persone alle cose; emissione di Euro-bond; detax per l’Africa. Ma lo scenario resta, forse ben oltre le intenzioni di Tremonti, pessimista. Resta impressa la frase: «Dentro la Commissione a 27 non è più possibile un serio dibattito».


In conclusione un libro che svergogna i dottrinari per i quali va tutto bene e andrebbe meglio solo che ci fossimo un poco più cinesizzati. Tremonti non biasima la paura degli umili, anzi l’argomenta, e tenta risposte diverse dai luoghi comuni su Stato ed economia, che ci stanno rovinando.

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