Il Goethe proverbiale delle cinquecento scrofe

Ho letto molto in ritardo, considerando la mia età e il mio amore (non fanatismo) per gli animali, «L’anello di re Salomone» di Konrad Lorenz e mi sono trovato di fronte alla frase che trascrivo qui di seguito e della quale non so darmi una spiegazione: «mantenendomi in uno stato di perfetto benessere, e questa è la imprescindibile premessa per potersi sentire così bene come le cinquecento scrofe di Goethe, divenute proverbiali». Non ho trovato tra i conoscenti chi sapesse darmi una spiegazione, neanche tra i giovani che hanno letto questo libro a scuola abbastanza recentemente. Io ho già usufruito della sua gentilezza e della sua cultura a proposito delle origini della lingua francese e di quella tedesca e pertanto mi vergogno un po’ di disturbarla ancora.



Per soddisfare la sua (e la mia!) curiosità sono andato a bussare alla porta di un vecchio amico germanista per chiedergli ragione delle cinquecento scrofe. E questi, senza nemmeno doversi strizzare il cervello o frugare nella memoria, ha recitato: «Uns ist ganz kannibalisch wohl als wie fünfhundert Säuen!». Aggiungendo, per togliermi dall’imbarazzo: «Noi godiam come cannibali, come cinquecento scrofe!». Sappia allora, caro Visconti, che è, questa, una battuta (corale) del Faust di Goethe.
Ora non la voglio raccontare tutta, ma per non star nel vago è bene ricordare che una volta concluso il patto, Faust se ne partì con Mefistofile facendo tappa in un’osteria di Lipsia laddove, ormai in possesso di poteri sovrannaturali, volle esibirsi in qualche numero a beneficio dei presenti, tutti studenti. «Signori! - disse loro - Il vino è passabile, passabile come sono passabili tutti i vini di Lipsia. Ma penso che non avrete nulla in contrario, se ve ne si spilla un po’ da un’altra botte». «Avete cantina di proprietà? Commerciate in vini? Sareste di quei bricconi forestieri» gli chiesero i presenti e per tutta risposta Faust prese un succhiello e si mise a scavare un foro nel tavolo. Quindi, rivolgendosi agli avventori, chiese che qualità di vino preferissero. «Un bicchiere di vin del Reno, Nierenstein autentico!», «Del moscato! Vin di Spagna», «Vino rosso, un francesino!» e ad ogni richiesta il vino sgorgava copioso dal pertugio. Com’era prevedibile la comitiva finì ubriaca e, fra i fumi dell’alcol, si mise a cantare, ecco che ci siamo: «Noi godiam come cannibali, come cinquecento scrofe!». Godere (ma Lorenz, con il garbo che mancò alla masnada di ciucchi persi, preferisce dire «sentirsi così bene») come cinquecento scrofe diventò, quanto meno in Germania, proverbiale.
Però l’espressione, così almeno pare, non trae a sua volta da un detto popolare, è pretta farina del sacco - e che sacco! - di Johann Wolfgang von Goethe. Il quale volle mettere in bocca agli studenti della cantina di Lipsia qualcosa di stravagante e al tempo stesso d’iperbolico che significasse la loro idea di godimento, di beatitudine.

Pescando un po’ nell’esotico (i cannibali), e nel pecoreccio, (le scrofe). Inutile aggiungere che oggidì sarebbe ritenuta una espressione politicamente scorretta in quanto offensiva della dignità dei «gastronomicamente diversi» e delle quote rosa suine.
Paolo Granzotto

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