Google ingoia la tv per diventare la Rete delle reti

Il matrimonio a questo punto è scontato. La televisione ha cambiato il volto del vecchio secolo. Il mondo è entrato in quella scatoletta magica che ti guarda mentre stai seduto in salotto, cucini, mangi, passi l’aspirapolvere e come al solito ti annoi. I nonni l’hanno vista in bianco e nero e sembrava una meraviglia. Erano quelli del canale unico e del monopolio di Stato. Quelli che hanno visto Tribuna politica, Nixon sudare davanti a Kennedy, Rischiatutto, Armstrong in diretta sulla luna, Italia-Germania 4 a 3, La cittadella di Cronin e A come Andromeda, l’ombelico di Raffaella Carrà e Novantesimo minuto. Poi è arrivato il colore, Sandokan e Goldrake, qualche canale in più, le private, Drive In, fino alle telecamere negli spogliatoi della Champions e la costellazione di canali terrestri, digitali o satellitari, spesso senza contenuti. Quello che mancava era l’incontro, facile, banale, con il web. L’altro mass media, quello che ha definito il Duemila, quello per cui ogni cosa è vicina, basta un clic e il rischio è solo perdersi, smarrirsi, non riuscire a respirare perché negli incroci della Rete c’è di tutto e di più. Non c’è nulla di difficile in questo incontro. Era già tutto scritto, previsto, ratificato: la tv e il web sono fatti per incontrarsi. Qualcuno già lo fa senza troppi problemi. Solo che ora Google ci ha messo le mani e gli orizzonti si aprono. Questo matrimonio annunciato diventa di massa. La tv web sta per diventare un elettrodomestico. È la conquista del salotto di casa. Tutto il cyberspazio racchiuso nel piccolo schermo di casa tua. La rivoluzione tecnica è minima, quella sociale sarà enorme.
Google ha annunciato al mondo che vuole fare una sua tv. Il problema è che i signori del motore di ricerca non sono un canale televisivo, non sono un’emittente, ma selezionano e indirizzano contenuti. E in questo mestiere nessuno è più bravo, furbo e veloce di loro. Sono i migliori nel portare alle masse la landa infinita di notizie, immagini, pensieri, parole, opere, omissioni, ricordi, testimonianze, format, film, spettacoli teatrali, libri, enciclopedie e tutto quello che vaga nel cyberspazio. Tu clicchi e trovi. Vuoi sapere chi ha scritto questo articolo? Tre parole e ci sei. Ti appare nome e cognome, magari anche il numero di telefono e la targa dell’auto. Cosa se ne fanno di una tv? Più o meno questo. Ti portano in casa un elettrodomestico, a quanto pare di marca Sony, con un software per connettersi a internet. Neppure questa se si vuole è una novità. Ma loro poi ti portano i contenuti. E questo probabilmente farà la differenza. Davanti a quello schermo non dovrai fare zapping tra i canali, ma navigherai cercando per quella sera, in quel momento, il programma di cui hai bisogno. Vuoi vederti Colazione da Tiffany? Vai. E scarica. Ti organizzi la serata come vuoi tu. Sei il direttore di rete del tuo appartamento. E intanto commenti quello che vedi in qualche piazza virtuale, scambiando opinioni con i tuoi amici del Tiffany club.
Vincent Dureau, capo della tecnologia di Google tv, non bluffa: «Non c’è nessun piano segreto. Non stiamo progettando un razzo diretto verso la luna. Ci stiamo dedicando alla realizzazione di un browser tv per raggruppare una serie di cose che gli studi e le reti stanno già facendo, ma in modo sconnesso». Detto in altri termini: un motore di ricerca per i programmi tv. Non si sa ancora bene come intendono risolvere la questione dei diritti, quello che è certo è la capacità di Google di attirare pubblicità. Google, tra l’altro, si è sempre rifiutata di bloccare l’accesso ai prodotti «pirata» disponibili in Rete. Ci sarà da divertirsi. Non è facile costruire muri nel web. E questo vale anche se la Rete è nel tuo piccolo schermo.
Google setaccia, raccoglie e distribuisce. Questo è il suo segreto. La tv è solo l’ultimo passo, quello dei grandissimi numeri. È il potere dell’archivio infinito. È il sogno di Pico della Mirandola, di Sir Francis Bacon, degli enciclopedisti francesi, di quel signore argentino cieco e visionario di nome Borges, è l’ultima tentazione di Mister Livingstone. È tutto questo e anche di più. E in quel di più ci sono gli incubi e le paure dei narratori anti-utopici, di Orwell e dei suoi fratelli, di tutti quelli che hanno avuto paura del futuro. Google è paradiso e inferno. È apocalisse e sapere universale. È la scommessa di dare un senso al sapere umano, ma cose di questo genere non sono mai gratis fino in fondo. Il prezzo da pagare è sempre lo stesso: chi controlla i padroni del sapere? Chi ferma il bibliotecario del Nome della rosa quando deciderà di far sparire il secondo libro della Poetica di Aristotele? Chi ci vieterà il saggio sul riso?
Google ha selezionato le informazioni, mappato le strade, i palazzi e i paesi, ci ha permesso di guardare dall’alto di un satellite le finestre di chi vive dall’altra parte del mondo o quelle del nostro vicino, sta realizzando libro dopo libro la leggendaria biblioteca di Babele, ed ora dirotta tutto questo in tv. Fa paura? Per ora no.

Non ci sono segnali. Il gioco è sempre lo stesso: cerchi, scarichi e vedi che roba è. L’unica cosa certa è che stiamo camminando dentro una metamorfosi. Noi stiamo fermi (o così ci pare), ma il futuro ci sta venendo addosso.

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