Per il governo c’è anche il pasticcio Telecom

La fusione con Telefonica non può prescindere dal futuro della rete fissa, asset chiave per la società e il Paese. Ma è difficile pensare di vendere il gruppo agli spagnoli senza l’infrastruttura. Meglio studiare un’alternativa. Per esempio l’olandese Kpn

La vicenda Telecom è un gran pasticcio. I problemi si possono far risalire alla pessima privatizzazione. Resta il fatto che oggi, in questo preciso momento, la questione Telecom non può più essere rimandata. E questo è il primo dato di partenza. Perché proprio oggi? Gli azionisti (banche italiane e gli spagnoli di Telefonica) hanno visto più che dimezzato il valore in Borsa del proprio investimento. Prima o poi dovranno dar conto a qualcuno di questa scelta sfortunata. Le prospettive inoltre non sembrano fantastiche: l’attuale management non ha trovato il petrolio sotto casa e non si è inventato Google. Margini e ricavi persino nella telefonia mobile sono in contrazione. Non c’è fretta, ma Telecom non può essere lasciata là giù a languire. Alle porte ci sono poi gli azionisti spagnoli di Telefonica, che hanno bilanci solidi e che a casa loro si comportano ancora da monopolisti. Gente che ha visto anch’essa perdere di valore la propria quota di Telecom, ma che è alla riva del fiume ad aspettare. Speriamo non il cadavere.
Il dilemma è dunque semplice da descrivere, ma complicato da sbrogliare. Telecom ha già in casa la soluzione ai suoi problemi: si chiama Telefonica, una società che ha le spalle sufficientemente larghe per integrare Telecom senza farsi avvelenare. Ma gli azionisti italiani non hanno alcuna intenzione di farsi sfilare la società ai valori di oggi. A ciò si aggiunga che Telecom ha in pancia la rete, prevalentemente in rame, che unisce le centrali telefoniche alle case di tutti noi (il cosiddetto ultimo miglio). Si tratta di un’infrastruttura formidabile, un po’ vecchia e da mantenere. Ma comunque un attivo che gli ex monopolisti in tutto il mondo considerano la propria ragione di vita. E anche per Telecom lo è: basti pensare che ogni cento euro di ricavi di questo settore generano 50 di margine operativo. Un rendimento favoloso, e che di fatto tiene in piedi Telecom Italia. Senza la rete, la società diventerebbe un semplice venditore di connessione internet e telefonica: con tutto il rispetto, un’azienda tipo Tiscali. Nulla di male, per carità. Ma un Telecom siffatta avrebbe, si calcola, qualcosa come 10mila dipendenti da mettere alla porta, per non portare i libri in tribunale.
Questa piccola parentesi tecnica, per dire che la proposta che circola di fondere Telecom e Telefonica, sfilando prima la rete fissa dagli italiani, è un non sense economico e industriale. Sarebbe come togliere gli pneumatici ad una Ferrari, ma anche ad una Panda. È il motivo per cui ci si trova oggi in un’impasse assoluta e si è deciso di prendere almeno un paio di mesi di tempo per trovare una soluzione. Per la verità il tempo è necessario anche per vedere i veri conti di Telecom e saggiare così lo stato di salute reale della compagnia telefonica.
Nonostante le dichiarazioni della politica, se Telecom verrà destinata agli spagnoli, sarà difficile concederla senza rete. Piuttosto si potrà pensare di rafforzare la presa italiana nel futuro colosso delle tlc: in giro però non ci sono investitori domestici che siano così eccitati dall’investire in questo settore. Vi è in realtà una seconda strada. Per il momento si tratta di un progetto, che si potrebbe concretizzare nell’eventualità che le cose con gli spagnoli dovessero tramontare davvero. E cioè individuare una Telco di medie dimensioni (cioè più simile agli italiani) con la quale sostituire gli spagnoli.

Già circola il nome dell’olandese Kpn, che ha dimensioni inferiori a Telecom Italia e con la quale si potrebbe consumare un matrimonio di interesse, ma tra pari. Per il momento si tratta di un esercizio teorico e piuttosto coperto.

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