Il governo mette in regola anche le finte colf

Basta uno stipendio irrisorio per richiedere un domestico da regolarizzare. Ma spesso arrivati in Italia il datore di lavoro scompare

Il governo mette in regola anche le finte colf

da Milano

Come si fa a guadagnare 500 euro al mese o poco più e permettersi una colf assunta in piena regola? Si fa, si fa. Il decreto flussi stabilisce un tetto virtuale che corrisponde, semplicemente, al doppio della retribuzione prevista per il domestico. Per giunta, cumulabile con quella dei parenti. In poche parole un lavoratore a basso reddito - anche extracomunitario -, che con fratelli, sorelle e affini metta insieme qualche centinaio di euro al mese, è titolato per lo Stato italiano a chiedere l’assunzione di una badante o colf extracomunitaria, da regolarizzare.
Questa normativa - che nel 2005 ha modificato il precedente tetto di 90 milioni di lire di stipendio annuo - ha naturalmente moltiplicato le richieste di colf o badanti straniere da parte di lavoratori extracomunitari in Italia, spesso originari degli stessi paesi dei loro futuri collaboratori domestici. Ancora più spesso succede però che, una volta arrivati in Italia, gli immigrati non trovino più il loro datore di lavoro, che nel frattempo si è squagliato.
A volte perché, a conti fatti, non è in condizione si spendere metà stipendio per la donna delle pulizie, altre volte perché lo stipendio è solo il frutto della sua fantasia. La legge consente infatti l’autocertificazione del datore di lavoro, e dietro a quel documento che testimonia il proprio status si possono celare truffatori che cercano di portare in Italia loro compaesani. «Certo, il dubbio può venire - dice al Giornale Giuseppe Silveri, direttore del dipartimento immigrazione del ministero della Solidarietà sociale -. Ma ci sono molti casi in cui le domande vengono rifiutate, proprio perché si verifica attentamente la veridicità di quanto dichiarato».
E che succede quando il datore di lavoro scompare? Finora il destino comune ai finti assunti stranieri, in mancanza del lavoro, era darsi alla clandestinità. Adesso non sarà più necessario, perché sarà il governo stesso a metterli in regola. La novità, che si sta diffondendo rapidamente grazie alla rete dei patronati Cgil e ai siti internet delle comunità straniere in Italia, è contenuta in una circolare del ministero dell’Interno, firmata il 20 agosto dal direttore centrale per le politiche dell’immigrazione Mario Ciclosi. Il dirigente del dicastero guidato da Giuliano Amato spiega nel documento che in seguito alle numerose segnalazioni da parte degli Sportelli unici per l’immigrazione, a proposito del problema dell’«indisponibilità» imprevista del datore di lavoro una volta che l’immigrato arrivi nel nostro Paese, «si ritiene che lo straniero possa richiedere il rilascio di un permesso di soggiorno per attesa occupazione».
Il permesso avrà validità di almeno sei mesi, e comprenderà tutti i diritti previsti dal permesso di soggiorno rilasciato a chi già lo aveva e in seguito ha perso il lavoro. Il Viminale si era già occupato della questione l’estate scorsa, con un’altra circolare in cui si prevedeva che in caso di cessazione dell’azienda o di decesso del datore di lavoro, il lavoratore immigrato non rimanesse bloccato dalle «procedure di stampo bizantino» (così le definì il ministro Ferrero), ma potesse essere riassunto grazie al «subentro»: o dell’azienda che rileva la ditta fallimentare o da un parente del defunto, che prenda l’immigrato come lavoratore domestico.
La nuova circolare amplia notevolmente il campo, aprendo potenzialmente la strada a valanghe di domande, grazie alle sirene di un soggiorno regolare anche senza lavoro (in attesa di).

Ma scontenta persino i difensori d’ufficio dei lavoratori immigrati: «Ora con questo permesso di attesa occupazione - spiega Roberto Morgantini del Centro lavoratori stranieri Cgil di Bologna - il rischio è che i lavoratori stranieri non denuncino più quei datori che, per non assumerli e non accollarsi quindi tasse e contributi, li impiegano in nero».

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