Al governo Prodi questo mondo sta un po' stretto

Se il bel tempo si vede dal mattino è il caso di cominciare a fare incetta di parapioggia. Il debutto del governo Prodi è stato letteralmente agghiacciante. Già la composizione, partorita dopo defatiganti trattative, aveva lasciato perplessi: un po’ di nomi sconosciuti, ministeri spacchettati per accontentare tutti, un numero di ministri, viceministri e sottosegretari che ha raggiunto le cento unità. Quando poi i neoministri nell’euforia della nomina, hanno cominciato a parlare e a rilasciare interviste si è aperto il finimondo. Mastella che dichiara che lui di giustizia non sa nulla, Mussi che gli fa eco per l’università, la Melandri che si definisce «zapateriana» provocando le reazioni della Margherita, il ministro dei Trasporti, lo sconosciuto professor Alessandro Bianchi che si scopre ammiratore di Fidel Castro, contrario al ponte sullo Stretto di Messina, avversario di Bush, degli Stati Uniti e di Israele, comprensivo con i terroristi «che stanno resistendo a un’aggressione». E Diliberto, il segretario del partito di Bianchi, che intima: «Ad agosto via dall’Irak».
Finisco qui. Potrei continuare perché le dichiarazioni sono una valanga confusa e contraddittoria. Preferisco dedicarmi ai maggiori, Prodi e Visco, autore quest’ultimo di un exploit che, alla vigilia delle amministrative, non ha dimenticato di far sapere che lui le tasse le aumenterà. Prendendo lo spunto dal piagnisteo sui conti pubblici disastrati Visco, viceministro con delega alle Finanze, ha confermato l’aumento della tassazione del risparmio delle famiglie e la reintroduzione della tassa sulla successione, cioè di quelle nuove imposte che Prodi prima aveva annunciato e poi precipitosamente smentito sul finire della campagna elettorale. Non contento, Visco ha fatto filtrare sui giornali anche il suo progetto per fare soldi: l’applicazione del sistema Maastricht a regioni e comuni. In pratica verrebbero aboliti i massimali sull’Ici e sull’Irpef regionale e comunale, lasciandoli liberi di tassare i cittadini quanto vogliono ma imponendo loro obblighi di bilancio, cioè di non sforare più di tanto il disavanzo. Lo Stato non si troverebbe più nella necessità di coprire le spese in eccesso delle regioni e dei comuni e quanti potrebbero spremere le loro necessità dalle tasche dei cittadini. Insomma lo Stato non tassa ma tassano gli enti locali.
Non ha fatto meglio di Visco il presidente del Consiglio nel suo debutto pubblico davanti all’assemblea della Confindustria. La rivincita di Vicenza non c’è stata, anzi, c’è stata la conferma con l’ovazione tributata a Gianni Letta, quando Montezemolo ha pronunciato il suo nome, e i pochi secondi di applausi di cortesia riscossi da Prodi. Montezemolo ha preso le distanze dal governo, Prodi non ha scaldato la platea nemmeno quando ha confermato il taglio del costo del lavoro senza però specificare né il quanto né il quando, condizionandolo al reinvestimento e alla lotta alla precarietà.
Degno di nota è anche un colpo di genio di D’Alema che non sapendo che fare ha fatto stuolo di sottosegretari agli Esteri, ha assegnato a ciascuno di loro un continente, ovviamente spacchettando anche questi perché i continenti non bastavano per tutti.

Ha però dimenticato l’Oceania, dove in questi giorni si è scatenata una campagna contro vecchi riti tribali degli aborigeni. Sarà per protesta che D’Alema ha privato l’Oceania del preciso dono di un sottosegretario ad hoc?

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