da Venezia
Vinca o no il Leone doro, di sicuro quando uscirà da noi, distribuito dalla Lucky Red, La graine et le mulet non si chiamerà così. Chi andrebbe mai a vedere La semola e il muggine? Ma pare che il regista Abdellatif Kechiche sia irremovibile: la parola «cous-cous», più evocativa, non la vuole nel titolo.
Mentre scriviamo la giuria della 64ª Mostra sta mettendo a punto il palmarès. Chissà se i giurati hanno scorso il daily Ciak in Mostra, dove La graine et le mulet risulta il favorito di critica e pubblico. Ma si sa come vanno queste cose. Lanno scorso tutti scommettevano sullinglese The Queen, invece si impose il cinese Still Life. «Chi entra Papa in conclave quasi sempre esce cardinale», ironizza Mariarosa Mancuso del Foglio. Lei tifa calorosamente per il film franco-tunisino. «Spero che vinca. Perché mette insieme tutto: è fatto bene, ha uno stile personale, non annoia e tiene conto del pubblico. Sbaglia chi lo riduce a una storiella di cous-cous e timballi. Purtroppo temo che questa giuria di cineasti si farà incantare da Redacted del venerato maestro De Palma».
Anche Paolo Mereghetti, del Corriere della Sera, non ha dubbi. «Il mio personale Leone va al film di Kechiche. Sta una spanna più in alto degli altri. Sfodera qualità estetiche, libertà di racconto, senso dello spettacolo, attori non professionisti bravissimi». E invece... «Ho paura che alla fine i giurati si facciano tentare dallo spagnolo En la ciudad de Sylvia, ribollente di citazioni cinefile, di suggestioni stilistiche. Ma forse no, bisogna aver fiducia in questa giuria di cineasti».
«Vincerà il cous-cous, purtroppo, anche se mi pare un po troppo favorito», pronostica Claudio Carabba di Magazine. «In alternativa, vedo ben piazzato In the valley of Elah, molto telefonato nello sviluppo narrativo. Meglio The assassination of Jesse James by the coward Robert Ford, che trovo il film più mutato e mutabile, una contaminazione affascinante tra il western e La passione di Cristo, una riflessione acuta sul ruolo e la dignità di Giuda». In effetti, il film di Andrew Dominik con Brad Pitt ha i suoi estimatori, sia tra i recensori sia tra gli spettatori. Ma alla Warner Bros si fanno poche illusioni, mentre paiono crescere le azioni di In the valley of Elah, comprato per lItalia da Mikado. Opera seconda, dopo Crash, del regista-sceneggiatore Paul Haggis, annovera tra i sostenitori più convinti Valerio Caprara, critico del Mattino. «Perché è un film classico che ha fatto sue le migliori sofferenze del contemporaneo. Severo, avvincente, scritto bene, non fa capriole a uso e consumo dei cavalli pazzi di una certa cinefilia. Lo sento percorso da emozioni autentiche, mi piace il modo in cui racconta la sofferenza dellAmerica alle prese con una guerra sbagliata». Però? «Passerà Kechiche, una scelta foderata e rassicurante. Il Terzo mondo è sempre un miele a portata di mano».
Si rifiuta di fare pronostici il decano Gian Luigi Rondi, del Tempo, già ripartito per Roma. «Non ha senso, mi pare un errore tecnico provare a entrare nella testa di sette giurati. Il mio candidato è La grain et le mulet, una sorta di Ladri di biciclette, ma in un contesto diverso. Ho molto apprezzato anche Greenaway e Mikhalkov». Quanto allItalia: «Temo che uscirà a bocca asciutta. Peccato. Trovo esagerate le reazioni negative dei miei colleghi. Prenda Nessuna qualità agli eroi. Lavesse diretto Antonioni, al posto di Paolo Franchi, avrebbero scritto che è un capolavoro». Sarà.
Per finire Maurizio Cabona. «Direi che In the valley of Elah possa mettere daccordo tutti in questa giuria variegata. Ma invito i giurati a non sottovalutare legiziano Chaos, una storia terzomondista che potrebbe piacere a Zhang Yimou».
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