Il gran teatro della Casa Bianca: le serie e il cuore della politica Usa

La prima fu «West Wing», 25 anni fa. Poi il palazzo presidenziale è diventato lo sfondo ideale da «Veep» a «House of Cards»

Il gran teatro della Casa Bianca: le serie e il cuore della politica Usa
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Alla fine lo sapevano benissimo i tragici greci e persino Shakespeare: non c'è luogo migliore di una corte, intesa come luogo simbolo del potere, per ambientare una tragedia. E a volte anche una commedia, perché il potere che si incarta su se stesso fa sganasciare (almeno sin che la faccenda è teatro e non realtà). Allora non stupisce che le serie televisive abbiano dato larghissimo spazio a quella che è la corte delle corti della contemporaneità: la Casa Bianca.

Basti ricordare West Wing, la serie creata da Aaron Sorkin di cui in questa pagina ci parla la collega Eleonora Barbieri, che quest'anno festeggia i 25 anni dalla prima stagione.

Ma da allora il numero 1600 di Pennsylvania Avenue a Washington è stato la quarta di scena per narrazioni di qualunque tipo. Nel 2006 si è iniziato a giocare col tema della presidenza al femminile - del resto il primo tentativo femminile di correre alle primarie risale ad Ellen McCormack nel 1976 - con la serie Commander in Chief in cui Geena Davis interpretava Mackenzie Allen, la prima donna a sedersi nello Studio ovale (insomma una Hillary Clinton che centra il bersaglio). E per certi versi la vicenda ha anche qualche somiglianza con quella di Kamala Harris, anche se su diverso fronte politico. La trama: Allen è la vicepresidente sotto il mandato del repubblicano Teddy Bridges. Quando il presidente in carica muore improvvisamente per un aneurisma cerebrale, Mackenzie viene chiamata non senza contrasti a sostituirlo. La Allen deve così confrontarsi per il secondo biennio di presidenza, con tutti i guai che il ruolo comporta, e con la diffidenza di chi non la ritiene all'altezza.

Di nuovo avventure vicepresidenziali e poi presidenziali in una delle serie più amate degli ultimi anni (tre Emmy come miglior serie comica e una pioggia di altri premi e candidature): Veep. Al centro della narrazione Selina Meyer (Julia Louis-Dreyfus), Vicepresidente Usa e, in seguito, Presidente. Il suo partito politico non è citato mai esplicitamente, ma svariati indizi, soprattutto nella quarta stagione, lasciano intuire che sia una leader democratica. Ex senatrice per lo Stato del Maryland, la Meyer ha corso le primarie nel 2012, perdendole contro Stuart Hughes. Dopo la sconfitta, la Meyer decide di affiancare Hughes per la corsa alla Presidenza come Vicepresidente, vincendo. Peccato che non ne azzecchi una e che sia specialista in dialoghi surreali dove la volontà di sembrare inclusiva si scontra, in continuazione, con il realismo della politica. Uno memorabile, in cui la Vicepresidente discute del suo look: «Metto gli occhiali? È un look da intellettuale? Che ne dite? Ah, no. Mi fanno sembrare debole. Sono come la sedia a rotelle degli occhi». Ovviamente c'è stata un'impennata di citazioni di Veep sui giornali ora che la Harris è in corsa per la Casa Bianca.

Poi ci sono serie che giocano di più con il lato oscuro del potere. Fra tutte non si può non citare un classico che ha trasformato Washington in uno scenario tragico e violento che nemmeno la corte di Approdo del Re nel Trono di spade: la creazione di Shonda Rhimes Scandal. Nelle 7 stagioni al centro della vicenda c'è sempre Olivia Pope (Kerry Washington), ex capo ufficio stampa della Casa Bianca per il presidente repubblicano Fitz Grant (di cui è anche l'ex amante non tanto ex). La serie ha messo in scena un numero di intrighi ampiamente al di là del credibile, almeno sino a che non si è vista una folla trumpiana dare l'assalto ai luoghi del potere: da allora vale tutto e si è capito che la realtà a stelle e strisce può battere sempre la fantasia.

Speriamo però non la batta nel caso della serie Designated Survivor con Kiefer Sutherland. La trama in soldoni: nella notte del discorso sullo stato dell'Unione, un attentato polverizza il Campidoglio, uccidendo il Presidente e tutte le alte cariche degli Usa, ad eccezione del segretario della Casa e dello Sviluppo Urbano Thomas Kirkman, appunto il designated survivor, nominato secondo la consuetudine nata durante la Guerra fredda per evitare la decapitazione dello Stato. Insomma siamo di nuovo nella zona: presidente per caso.

Quanto ad House of Cards che dire? La feroce ascesa del deputato

Frank Underwood (Kevin Spacey) raccontata in 6 stagioni, rompendo la quarta parete che separa lo spettatore dall'azione, è riconosciuta per essere un capolavoro assoluto.

Un capolavoro da cui la politica esce a pezzi però.

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