Idealmente Antonio Di Pietro era lì, in piazza Santi Apostoli, a sentire il sermone di pio Oscar. Ma solo idealmente. In carne e ossa cerano i suoi: i militanti e i compagni parlamentari Stefano Pedica, Massimo Donadi e Felice Belisario. Ma lui, il leader, no. Era a Bruxelles a gettare badilate di fango sul governo in carica che «porta avanti un progetto dittatoriale». E chissà se avrebbe provato qualche imbarazzo nel vedere i suoi elettori spellarsi le mani quando Scalfaro ha ammonito col ditino alzato: «Ognuno di noi può impegnarsi a ridurre le asprezze delle parole, anche nellopposizione». E ancora: chissà se avrebbe provato fastidio o viceversa applaudito nel sentire lex capo dello Stato citare Napolitano: «La Carta afferma che il supremo tutore della Costituzione è il presidente della Repubblica». E fin qui anche Tonino avrebbe annuito con convinzione. Ma poi Oscar ha pure redarguito: «...al quale noi mandiamo un saluto. E ci fermiamo». Applausi scroscianti dalla piazza. «Perché rispetto vuole che non si esageri nel fare manifestazioni che potrebbero essere interpretate come il tentativo di tirarsi il presidente da una parte». E Di Pietro, fosse stato presente, che avrebbe fatto? Forse avrebbe fatto «buu», avrebbe contestato, polemizzato, controbattuto.
Daltronde Tonino (foto), fustigatore del Colle reo di «silenzi mafiosi», di «silenzi che uccidono», da mesi tira la giacca del capo dello Stato tanto da rischiarne lo strappo. Forse, se fosse stato in piazza, in quel momento avrebbe preferito essere a Bruxelles.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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