«Grande coalizione? No, facciamo da soli»

La linea stabilita nella notte a piazza Santi Apostoli messa in discussione dalla proposta del premier E ripartono le consultazioni tra i segretari dei partiti

Luca Telese

da Roma

Il primo a parlare, dopo la proposta di Silvio Berlusconi di una grosse koalition da costituire all’insegna dell’«unità» non è stato lui, ma Massimo D’Alema, che - dalla Bicamerale in poi - è da sempre sospettato di essere inciucista recidivo nel confronto con il Cavaliere. Così ieri il leader maximo ha voluto mandare per primo un segnale inequivocabile, stroncando la profferta del Cavaliere: «Ritengo che non sia una proposta concretamente praticabile». Dopodiché è arrivato il fuoco di sbarramento a tappeto: no dalla segreteria dei Ds, no dai leader della Margherita, ed infine il no più atteso, il suo, quello del Professore. Romano Prodi dosa le parole che pensano all’uscita dalla sede di Piazza Santi Apostoli: «Ci siamo presentati agli elettori con una coalizione precisa. La legge elettorale ha assegnato un numero di parlamentari alla Camera e al Senato che ci permettono di governare. Lo faremo».
Insomma, un muro compatto, una saracinesca abbassata. Una linea che l’Unione ha imboccato con decisione già nella notte di lunedì sera, la notte degli exit poll, dei sogni infranti e della proclamazione unilaterale di vittoria a Piazza Santi Apostoli. È una linea che nasce dall’altalena dei risultati, e dal sospiro di sollievo che si leva quando l’ufficio elettorale dei Ds fa sapere che stima ormai certa una vittoria risicata alla Camera. E quando un’altra telefonata, quella di Franco Danieli - il deputato della Margherita che ha gestito la partita degli italiani all’estero - annuncia: «Le divisioni del centrodestra premiano l’Unione, otterremo la maggioranza dei sei senatori». I leader dell’Unione pensano subito che anche un margine parlamentare risicato, malgrado la sconfitta aritmetica, può permettere la scommessa del governo. Nei minuti successivi fervono le consultazioni. La prima valutazione? È su quanti tra i senatori a vita - da Napolitano a Oscar Luigi Scalfaro potrebbero appoggiare Prodi. La seconda è più delicata: se Ciampi torna al Quirinale darà un incarico a Prodi? Una volta incamerate le risposte resta da scegliere se vale la pena di tentare l’azzardo: si ricorda il precedente dei governo Dini, e persino quello del 1994, quando il centrodestra (che allora vinse per voti espressi) arruolò una pattuglia di centristi. Prodi dice che ci vuol provare, si consulta con Fassino. Il segretario dei Ds scende in sala stampa al Botteghino e dice: «Abbiamo vinto», rifiutando ogni domanda. Prodi scende un minuto dopo a Piazza Santi Apostoli: «Abbiamo vinto, governeremo».
Nel pomeriggio la situazione si complica: di sera Berlusconi rilancia l’idea di un governo di intesa, dice di essere addirittura pronto «a farsi da parte», di essere «assolutamente disinteressato sul piano personale». Per la seconda volta, nell’Unione, si riapre il valzer delle consultazioni incrociate. Ed è a questo punto che D’Alema prima e i Ds poi preparano il niet del Professore. Ma è Prodi il più deciso: «Noi governeremo in questo modo, come è stabilito dalla legge e come era l’impegno con i nostri cittadini che ci hanno votato. In più ho già detto che governerò per tutti gli italiani e non solo per quelli che ci hanno votato».
Dietro la nettezza dei toni, ovviamente le incognite non sono poche. Anche perché il risultato deludentissimo di Ds e Margherita peserà non poco, non solo all’esterno, ma anche dentro quei partiti. Le speranze degli ulivisti erano chiarite ieri da un dirigente della coalizione (anonimo): «Una volta incassato il voto di fiducia, il tempo lavora per noi: Berlusconi si metterà l’elmetto sui capelli e la baionetta fra i denti, noi eleggiamo il presidente della Repubblica, vinciamo a Roma a Napoli, erodiamo la base elettorale del centrodestra, e fra due anni facciamo il pieno con la lista unitaria sia alla Camera che al Senato».
Ieri, la mossa a sorpresa del Cavaliere, l’offerta di una grosse koalition alla tedesca, faceva saltare il primo tassello della strategia. Se l’Unione non avesse già proclamato la vittoria, forse sarebbe stato possibile lasciare il cerino della divisione in mano al centrodestra. Ma l’accelerazione di lunedì, ha prodotto il muro contro muro. E anche le affermazioni di D’Alema che sulla presidenza delle Camere spiegava: «C’è il clima politico per collaborare con il centrodestra? Credo di no».

Così la strada è imboccata senza ritorno, e l’Unione deve andare fino in fondo con i suoi numeri risicatissimi: una maggioranza che conta su tre ottantenni e tre senatori eletti fuori dall’Italia. Ancora una volta, il fattore tempo è il grande nemico. Ne servirebbe tanto, ce n’è pochissimo, il primo scoglio si chiama Fiducia, il secondo Finanziaria: è già in vista, proprio dietro l’angolo dell’estate.

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