Cultura e Spettacoli

Grande e piccola storia

Grande e piccola storia

Gossip, chiacchiericcio sulla vita privata dei potenti a cui la carta stampata fa da megafono, giornalisti che si tirano colpi bassi rivelando pruriginosi segreti, caccia selvaggia allo scoop. E ancora: inchieste che rivelano le bassezze morali del clero, ministri che cadono per scandali finanziari raccontati in prima pagina oppure colpiti da una satira senza pietà, membri dell’opposizione impiccati alla stessa gogna mediatica che hanno contribuito a costruire, tentativi di elaborare una legge che tuteli la privacy e impedisca che la politica si riduca allo sputtanamento di tutte le parti in causa.
Stiamo parlando dell’Italia della Seconda repubblica? Degli Stati Uniti in epoca Clinton-Lewinsky? Oppure delle feroci campagne di stampa nella repubblica di Weimar? No, il giornalismo come arma caricata con i pallettoni del gossip è nato molto prima di quanto si possa immaginare. E le grandi rivoluzioni del ’700 sono figlie dei feroci libelli satirici, composti in fretta e furia nelle stamperie clandestine, molto più di quanto lo siano del limpido e algido pensiero degli illuministi. Per rendersene conto in maniera definitiva basta leggere The Devil in the Holy Water. Or the art of slander from Louis XIV to Napoleon (Penn, pagg. 534) di Robert Darnton, forse il maggior esperto mondiale della cultura francese del ’700. Il libro - il cui titolo tradotto in italiano suona così: Il diavolo nell’acqua santa, ovvero l’arte della diffamazione da Luigi XIV a Napoleone - racconta infatti, con dovizia di studi e controllo incrociato delle fonti, come il giornalismo d’assalto abbia caratterizzato il clima, torbido e pesante, che ha portato alla rivoluzione francese.
L’assunto di Darnton, antiche gazzette e libelli alla mano, è che quello che si leggeva e si vendeva nelle strette strade dei faubourg parigini non erano Emilio o La nuova Eloisa di Rousseau, né L’ingenuo di Voltaire. I titoli che circolavano per gli 800 caffè e le 2000 taverne della Parigi degli anni ’70 e ’80 del ’700 erano questi: La chasteté du clergé dévoilée, Anecdotes sur Mme la comtesse du Barry (la chiacchieratissima amante di Luigi XV), Mémoires secrets d’une femme publique (sempre sulla du Barry), Les Amours de Charlot et Toinette (un libello che raccontava con tutti i dettagli corna inflitte da Maria Antonietta all’impotente marito), La vie privée de la reine, La Chronique scandaleuse, Soirées de la reine... E quando temi e titoli non facevano concorrenza a quelli di Dagospia Cafonal o Chi l’attacco era diretto ai politici come nei pamphlet o negli articoli contro il ministro delle finanze Necker o contro la polizia. Uno dei titoli più gettonati era La Police de Paris dévoilée.
Insomma, nei caffè che erano il simbolo dei Lumi (basta ricordare il titolo del giornale dei fratelli Verri) erano di moda erano i «gazzettieri» (leggasi giornalisti) che picchiavano sotto la cintura. E già allora la circolazione delle notizie aveva assunto una dimensione e una rapidità impressionante, se si tiene presente che parliamo di un mondo in cui il mezzo di trasporto più veloce era un cavallo in corsa. A Parigi scrittori e pennivendoli raccoglievano informazioni dalle fonti più svariate. Le notizie raggiungevano stamperie clandestine e le penne pericolose che si erano trasferite fuori confine, soprattutto a Londra, dove gli emigranti francesi avevano creato un agguerritissimo centro per la pubblicazione di testi poco amati dalla censura. Da lì i libri clandestini tornavano in Francia. Fra le più attive nello «spaccio» era la libreria Au Basset, dove i venditori ambulanti si rifornivano per distribuirli a bassissimo costo per tutto il Paese. Bastarono pochissimi anni di questo andazzo perché il ceto dirigente ne uscisse con le ossa rotte, a partire da Luigi XVI e consorte.
Ma il nuovo modello di stampa aggressiva ci mise ben poco a colpire anche chi l’aveva inventata. Pierre Manuel fu un «gazzettiere» attivissimo nel colpire le autorità dell’ancien régime, la sua lettera aperta a Luigi XVI che si apriva con la frase «Sire, a me i re non piacciono» era diventata un oggetto di culto. Abbastanza perché Manuel venisse eletto alla Convenzione nazionale nel settembre 1792 (all’epoca era famoso quanto Marat o Danton). Ben presto, però, lo stesso Manuel finì sotto il fuoco dei suoi nuovi rivali, i giacobini. Arrivò una Vie secrète de Pierre Manuel composta in fretta e furia, settanta pagine al vetriolo, che lo attaccava selvaggiamente accusandolo di ogni nequizia nello svolgimento dei suoi incarichi pubblici. Non gli fece troppo danno, la ghigliottina cadde così velocemente sul suo collo che la diffamazione a mezzo stampa divenne superflua.
Il suo non fu un caso isolato. La macchina della stampa si era messa in movimento e, nel bene e nel male, si rivelò subito di una diabolica potenza, in grado di innalzare o triturare chiunque. Tentativi di fermarla in modo istituzionale? Con la legge? Darnton racconta anche questo. L’antico regime, per sua natura illiberale, utilizzò persino agenti mandati a Londra per rapire i giornalisti e portarli alla Bastiglia. Ma non funzionò. L’idea di pagare i gazzettieri per starsene buoni e far spiate sui propri colleghi, anche meno. Servì solo a far lievitare i prezzi, a spingere sempre più uomini potenti a far trapelare notizie sui propri nemici, oppure a spingere gli stessi ispettori sull’editoria a tenere i piedi in due staffe.
Con l’arrivo della Rivoluzione non cambiò molto, divenne solo più violento l’ondeggiamento fra la tolleranza e la repressione totale. L’unica regola certa restò quella di colpire, quando il pendolo oscillava verso il bavaglio, i giornalisti e molto meno le fonti altolocate (altra costante). Ecco allora che prendersela con il giornalismo sguaiato dicendo che è figlio dell’oggi diventa un po’ ridicolo. Darnton ci mostra che da oltre duecento anni il pettegolezzo e l’attacco ai vip tirano. Forse l’unica distinzione valida, nel mestieraccio, nato molto prima delle «regole deontologiche», resta quella d’antan tra chi azzecca lo scoop e chi no. Tra chi gioca al moralizzatore e chi dà le notizie, belle o brutte che siano.

La democrazia è nata così, la democrazia è una notizia a cui credere o no, scegliendo.

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