E tutto finì nel miglior stile bianconeuro. Tutti contro Balotelli. E noi che c’eravamo tanto illusi. Pensando a quel «Se saltelli tornano gli Agnelli», ultimo coretto made in buontemponi lanciato timidamente, quando Juve-Inter ha mostrato il vero volto suo. E la coscia di Felipe Melo, la testa di Chiellini sono diventate finalmente utili alla causa bianconera. Un gol rubacchiato, stiracchiato, un fallo ignorato, e l’esplosione di Mourinho che, con bella volontà, si è contrapposto a quel coretto «Se saltelli muore Balotelli», leit motiv di una serata di sport, così si dice, e a tutti i petardi che, fino allora, avevano assordato le orecchie degli spettatori, innervosito i deboli di nervi, ponendo l’inutile interrogativo: ma non erano vietati, non ci dovrebbe essere qualcuno che sorveglia e sequestra? Macché! Quando serve siamo tutti figli di Napoli.
L’esplosione di Mourinho, l’unico petardo portato in campo dall’Inter (bell’esempio per uno che si lamenta sempre di Balotelli), e quel gol arraffato, sono serviti a riportare la gente bianconera con il cuore e il pensiero al tempo che fu. Quando, inutile negarselo, certi sgarbi facevano saltar sulla panca qualunque predecessore di Mou. E gli Agnelli avevano fascino, certo, ma pure peso.
Però immaginate il godimento degli juventini nel vedere il grande Provocatore finir a muso in giù, rinchiuso nel recinto dietro il campo, il limbo degli esclusi dalla panca. Il suo passeggiare, a falcate lunghe, diceva cosa gli raccontava il cuore. Spettatore pagato e, stavolta, pagante. Attimo di grazia durato sei minuti appena. All’Inter c’è voluto poco ad innescare Eto’o. Alla Juve molto meno a mostrare il peggio del suo assetto difensivo. Ed allora si è tornati al solito bianconeuro. Quale cromatismo può rendere più felice la gente di Torino? L’immutabile bianconero. Già, che oggi si tramuti in bianco contro nero è solo figlio dei tempi moderni. Anche se il nero è uno soltanto e gli altri passano inosservati. Neppure un fischio a Eto’ o Muntari.
Ed è tutto un far di spallucce a chi ricorda «ma lo stile Juve?». Già, come l’avrà spiegato quel papà, in fila al ritiro dei biglietti, al bambino suo armato di sciarpa e occhi ridenti? «Pensa come sei fortunato», diceva lui con l’ingenuità dei tempi d’oro, «vedrai Juve-Inter, hai la sciarpa, il panino imbottito, la Coca Cola. Ed hai solo 12 anni». Come non voltarsi per gustarsi quel quadretto da mondo antico?
Il risveglio è stato brusco. Quel coro («Se saltelli...») non ci ha abbandonato mai. E tutti felici e contenti. Unica variazione: «Balotelli figlio di p...», «Balotelli uomo di m...», che non è razzismo ma sano, inguaribile e incivile italianismo. Come la festosa accoglienza al pullman fuori dello stadio, proprio là davanti all’ingresso dove il mezzo è costretto a frenare per non stendere la solita muraglia umana: sono planate uova, qualche bottiglietta e una scarica di calci. Roba da scuola elementare del teppismo, se quello non fosse stato l’ultimo quadretto prima della partita attesa da tutta Italia. L’altoparlante dello stadio ha cercato di coprire quel «Balotelli...» d’annata, prima dell’incontro, con un sano strimpellare di musica. Fatica ingenua e inutile. Come quella di chi, preso da compassione o da insaziabile scocciatura, si è rivolto ad un pollastro suo: «Siam venuti fin qui per vedere segnare Amaurì». Fatica vana. Amauri non ha collaborato. Ed allora «Se saltelli muore Balotelli» si è fatto più insistente, soprattutto quando il ragazzone ha cominciato a corricchiare a bordo campo. Inevitabile. Come pure il leit motiv di fischi che l’ha inseguito dietro ogni palla. Il gol di Marchisio pareva una benedizione. Bello più del resto.
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