La grande lezione dei familiari di Marco Biagi

La grande lezione dei familiari di Marco Biagi

Francesco Damato

Pietro Mancini ha giustamente segnalato domenica scorsa in questa pagina l’assenza dalle numerose e affollate liste dei candidati dell’Unione prodiana al Parlamento dei familiari di Marco Biagi, del quale proprio domenica ricorreva il quarto anniversario della morte procuratagli sotto casa, a Bologna, dalle Brigate rosse. Egli pagò in quell’orribile modo, come si sa, il «torto» già rimproveratogli dalla presunta sinistra riformista di avere aiutato come consulente l’odiato governo di Silvio Berlusconi a predisporre una nuova legge sulla flessibilità del mercato del lavoro.
Mi permetto di segnalare amichevolmente a Mancini, e ai lettori, che l’assenza dei familiari del povero Biagi dalle liste dei candidati alla Camera e al Senato non è dovuta soltanto ai vari «Fassino, Rutelli e soprattutto Romano Prodi, che pure gli era amico e concittadino». Costoro, «così solleciti nell’accudire amorevolmente alle esigenze delle mogli, compagne e vedove di personaggi illustri, hanno completamente dimenticato i familiari di Marco Biagi», si è doluto Mancini.
Mi risulta che, anche se quei signori avessero avuto la faccia tosta di offrire una candidatura alla vedova o alla sorella del professore assassinato per l’immagine che di lui avevano contribuito a dare le loro parti politiche, avrebbero ricevuto un rifiuto grosso come una casa. Il diniego sarebbe stato molto meno cortese di quello opposto dai familiari di Marco Biagi sia agli ex compagni di partito dello Sdi di Enrico Boselli, oggi partecipi con Marco Pannella della federazione radical-socialista della Rosa nel pugno, sia dagli amici del centrodestra che hanno tentato qualche approccio elettorale.
Più che alle dimenticanze degli altri, insomma, l’assenza dei familiari di Marco Biagi dai pletorici elenchi dei candidati al Parlamento si deve alla dignità e all’orgoglio di una famiglia, a cominciare naturalmente dalla vedova, Marina Orlandi, che non ha voluto mischiare, diciamo così, il sacro con il profano: una famiglia che, a differenza di altre, si è rifiutata di fare investimenti di varia natura sulla memoria dei loro congiunti morti sul campo del loro impegno civile o militare.
Permettetemi di dirvi di considerare quelle di Marco Biagi una vedova e una sorella molto speciali, di dieci, cento, mille spanne superiori alle vedove e alle sorelle che grazie alla celebrità data ai loro nomi dai congiunti uccisi nell’adempimento dei loro doveri hanno già ottenuto o aspirano a cariche parlamentari, di livello nazionale o regionale. E vi aspirano spesso senza neppure impegnarsi più di tanto perché grazie alla mancanza del voto di preferenza, del quale non mi stancherò mai di sostenere il ripristino non condividendo la demonizzazione che se n’è fatta, come di uno strumento di corruzione, oggi non si viene più eletti deputati o senatori ma semplicemente nominati. L’elezione dipende infatti non tanto dal credito che i candidati meritano dai loro elettori, quanto dall’ordine in cui sono stati iscritti nelle liste dai vertici dei loro partiti. I quali, se le cose rimarranno così, faticheranno sempre di più a spingere gli elettori alle urne. O per portarli dovranno sempre di più trasformare le campagne elettorali in ordalie, affollandole di mostri da abbattere.

Non a caso Nanni Moretti per aiutare i suoi compagni a vincere, nonostante la vocazione alla sconfitta rinfacciata ad essi qualche anno fa in una piazza romana, sta portando nelle sale cinematografiche la trasfigurazione di Silvio Berlusconi in un caimano.

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