«Grane» anche per i concorrenti: staff litigiosi, troppe primedonne

Sì, lo stress. Poi i soldi e le rivalità. Basta un giorno, un errore, un’imprecisione. Non c’è tempo di sbagliare quando la corsa alla Casa Bianca è cominciata. Allora le teste rotolano e le carte si mischiano: i manager delle campagne se ne vanno, o vengono licenziati, cambiano i volti, le idee, le strategie. Si ricomincia ogni volta.
John McCain non paga, ecco perché perde i pezzi del suo staff. E però non è l’unico: lui non ha soldi, Hillary Clinton ce ne ha anche troppi, ma neppure questo è sufficiente a tutelarla. Nel team che spinge l’ex first lady verso la nomination democratica si vive male il rapporto tra gli uomini del marito Bill e Hillaryland, la squadra tutta femminile di strateghe al seguito della candidata. La Clinton ha un esercito di 32 consiglieri assunti più quattordici consulenti e dieci persone dello staff del Senato. Cinquantasei persone, molte delle quali in perfetto e totale disaccordo con la «principale» e soprattutto con la sua diretta emanazione, la manager della campagna Patti Solis Doyle. Patti detesta le ingerenze dei vecchi consulenti di Bill e non ama neppure lui, l’ex presidente. Ha stabilito una regola: l'ex-inquilino della Casa Bianca non può dare ordini diretti ai collaboratori di Hillary. Tutto deve avvenire attraverso la senatrice di New York per evitare allo staff possibili confusioni e direttive di segno opposto. Il che ha creato tensioni e imbarazzi e un allontanamento temporaneo di John Podesta dalla linea di comando della campagna. E questo solo perché Podesta era il capo dello staff di Bill Clinton e allora oggi potrebbe essere una minaccia.
Cadono le teste anche nello staff di Fred Thompson che non è ancora formalmente candidato alle primarie repubblicane, ma sta già facendo i conti con gli atteggiamenti da primadonna di consulenti e strateghi: Tom Collamore ha dato le dimissioni dal ruolo di manager della campagna dell'attore ed ex senatore. Al posto di Collamore, ex manager del colosso alimentare e del tabacco Altria, sono stati chiamati due vecchi strateghi: Randy Enright, che è stato alla guida del partito repubblicano nello Stato-chiave della Florida, e Spencer Abraham, ex senatore ed ex ministro dell'Energia nell’amministrazione Bush. A scendere, lo spoil system prevede altri rimescolamenti. Secondo una portavoce di Thompson, Linda Rozett, Collamore resterà come consulente della campagna. La povera Linda, costretta a spiegare le ragioni dell’allontanamento, dice che i nuovi passi non sono frutto di diversità di opinioni interne allo staff, ma della volontà di «prepararsi ad entrare nella prossima fase, aggiungendo nuove risorse e forza politica all’organizzazione». I cattivi, invece, dicono che nella squadra della star tv sono volati più volte i coltelli, tanto che l’annuncio ufficiale della candidatura era atteso per l’inizio di luglio e invece non è ancora arrivato.
Nei guai pure John Edwards, costretto a fare fuori due blogger assoldati per la campagna elettorale via internet. Spigliate, pungenti e decisamente partigiane, Melissa McEwan e Amanda Marcotte, si divertivano a piazzare qua e là un insulto ai fan dei candidati rivali del loro datore di lavoro. Prima gli avversari democratici, poi i repubblicani.

Convinte che nessuno le avrebbe mai punite, si sono spinte troppo in avanti: «Dietro al presidente George W. Bush c’è una gabbia di matti cristiano-fascisti». Edwards non ha neppure fatto finta di difenderle. Le ha fatte fuori, prima di rimettere in ordine il ciuffo ribelle.

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