Lacrime. Già, adesso le lacrime hanno un senso, adesso Massimo Moratti può piangere di gioia preparando un posto vicino alle foto seppiate di papà Angelo, adesso Josè Mourinho può liberarsi dei suoi tormenti, lui regista di una settimana da genio che nemmeno il suo addio può sporcare. Piangono tutti in campo e fuori al Bernabeu, ed è bellissimo mescolarsi nei fiumi di cerveza che scorrono nella notte di Madrid perché la birra - questa sera - è cosa nostra. The Champions siamo noi.
E allora grazie Josè, così piangono milioni di interisti che non avevano mai visto la coppa dalle grandi orecchie, se non nella casa del vicino che per anni ha sbandierato in faccia la sua superiorità internazionale. Oppure in qualche videocassetta sbiadita dai tormenti. Non eri un pirla, avevi detto, non ti avremmo cambiato, avevi aggiunto. Avresti cambiato noi, e l’hai fatto, lo si legge negli occhi dei 21mila - o forse più - nerazzurri che sciamano dal Bernabeu pronti ad una festa che non deve finire mai. Non può. San Siro aspetta, sarà la notte degli eroi, sarà l'ultima targata Mourinho e adesso tutti sappiamo perché è meglio lasciare così, con tre tituli irripetibili e l'invidia di chi credeva di aver capito tutto. Quelli che hanno una minima conoscenza del calcio scriveranno che ha vinto la squadra non certo il suo allenatore, ma per i tifosi - i tuoi e quelli nerazzurri, che ormai sono la stessa cosa e lo saranno comunque - chissenefrega: ha vinto l’Inter, hanno vinto loro, quarantacinque anni dopo.
Ed ecco allora che il Bernabeu diventa casa Inter, ancor prima che casa Mourinho. Ecco la festa, i coriandoli nerazzurri, la coppa alzata verso un Angelo e con un Massimo che ha finalmente trovato il suo paradiso. Ecco la notte che tutti hanno sempre sognato e che importa adesso che il presidente, a differenza della vigilia di Siena, non avesse trovato nel sonno la risposta ai suoi timori. Non ce n’era bisogno, questa coppa era destinata ad arrivare a casa Moratti, questa coppa è tornata a casa. E allora ecco le lacrime di Javier Zanetti, l’uomo dalle settecento vite, simbolo di un’Inter che non ha mollato mai neanche quando non era questa Inter.
Adesso, insomma, la musichetta della Champions ha un senso anche negli spogliatoi di Appiano Gentile e anche se ora si dovrà ricominciare da capo si può ripartire dalla cima. Da quei ragazzi che girano il campo col trionfo nel cuore, da quei tifosi impazziti intorno, da quel presidente che ha avuto la pazienza di imparare dai suoi errori di gioventù per diventare un Moratti da Champions, sapendo già che dietro di lui ce n’è un altro - Angelomario - che ha già ereditato il grande spirito bauscia. È successo, anche grazie a Mourinho naturalmente, anche grazie allo schema di Josè, che ha chiamato la palla tutta la settimana per lasciare la pressione lontana dai giocatori. Mourinho al Real, sì è parlato solo di questo. Ah già, poi c’è anche la partita…
E che partita è stata, se lo ricorderanno a lungo, ce lo ricorderemo per sempre. Ricorderemo le lacrime di Madrid, perché nessuno è riuscito a frenarsi, neanche gli eroi della Grande Inter che oggi hanno un’Inter Grande da festeggiare.
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