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Il greggio riempie i forzieri di Bagdad Gli americani: «Adesso pagate voi»

Grazie al petrolio 50 miliardi nelle casse irachene. Gli Usa: «Il Paese è autosufficiente, non finanzieremo più la ricostruzione»

I numeri parlano chiaro. Entro la fine dell’anno, l’Irak dei conflitti e del terrorismo, delle bombe che fanno saltare in aria tralicci e ponti avrà un avanzo di bilancio di quasi 50 miliardi di dollari, legato alle rendite petrolifere, complice l’alto prezzo del greggio. Abbastanza, dicono a Washington, per pagarsi da solo progetti di ricostruzione.
E se i dati hanno causato polemiche sui mass media americani, in Irak i numeri record uniti ai miglioramenti nella sicurezza fanno sperare nella normalizzazione. Un rapporto americano del Government Accountability Office (Goa) rivela che dal 2005 alla fine del 2008 gli incassi di petrolio ammonteranno a 156 miliardi di dollari. Nel 2007, il Paese aveva depositi in banche internazionali pari a 29,4 miliardi. A volere lo studio erano stati mesi fa i senatori Carl Levin, democratico e presidente del comitato del Senato per le Forze armate, e John W. Warner, repubblicano. I due hanno manifestato disappunto: dai dati pubblicati, hanno detto, risulta infatti che Washington spende troppo, e Bagdad troppo poco per la ricostruzione in Irak: infrastrutture, installazioni elettriche, idriche e altro. Il Gao spiega che gli iracheni hanno sborsato solo 3,9 miliardi tra il 2005 e aprile per la ricostruzione. Gli Stati Uniti hanno invece stanziato dal 2003 a giugno 42 miliardi di dollari. Pochi mesi fa, l’ambasciatore americano in Irak, Ryan Crocker, aveva detto che l’era dei grandi progetti finanziati dagli Stati Uniti era finita. Andy Baukol, del dipartimento del Tesoro, ha ammesso che oggi l’Irak si trova in un’ottima posizione per camminare da solo. Come sta iniziando a fare in altri settori. Ha anche spiegato che Bagdad fino ad aprile ha speso in piani post-bellici 10,8 miliardi di dollari, il doppio dell’anno scorso nello stesso periodo. Il governo iracheno ha proposto anche un budget supplementare di 22 miliardi, 8 per la ricostruzione.
Per il Paese non è ancora facile amministrarsi, nonostante i fragili progressi militari e politici. Soltanto ieri, il Parlamento non ha trovato un accordo sulla legge elettorale, a causa di tensioni con la minoranza curda, e il voto provinciale atteso e considerato chiave per la stabilità del Paese potrebbe essere posticipato per mesi. Le violenze sono diminuite dell’80 per cento, ma non sono svanite. Spiega al Giornale Ibrahim Sumydai, analista politico iracheno ed ex funzionario dell’intelligence di Bagdad, che soltanto fino a metà del 2007 il 70 per cento del budget era dedicato alla sicurezza. L’esperto concorda in parte con il Gao: sono le violenze ad aver impedito per anni d’investire in infrastrutture. Ma c’è dell’altro. Molti iracheni, l’élite con un know-how tale da poter portare a termine progetti - ingegneri, architetti, geometri, etc - è scappata all’estero per sfuggire alle violenze settarie e oggi il governo sta cercando di richiamarla.

«Ci sono inoltre la corruzione e l’incompetenza contabile e amministrativa, ma oggi - dice Sumydai - dobbiamo approfittare della migliore sicurezza e delle rendite record per ricostruire».

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