Grillo, Rifondazione e Corriere hanno ridotto Prodi in cenere

Che cosa è accaduto al governo Prodi? Infine ha avuto dei successi, è riuscito a costruire una Finanziaria con il consenso di tutto il governo, ha fatto la riforma delle pensioni, abolendo, come era ovvio, quella di Berlusconi e di Maroni e negoziandola con le tre organizzazioni sindacali storiche, a cui ha affidato, sottraendola al Parlamento, la decisione sulla politica del governo.
Il governo non dovrebbe cadere a sinistra, anche se Rifondazione sente il logorio di un partito che si definisce rivoluzionario e anticapitalista ed è al governo di un Paese capitalista, in un mondo dove non c’è alternativa al capitalismo e in cui il cuore del capitalismo pulsa oggi nella Cina che fu di Mao.
Nell’ultimo comitato centrale in vista del congresso, le componenti più anticapitaliste di Rifondazione hanno già dichiarato di voler uscire dal partito: e il sospetto che la manifestazione del 20 ottobre sia un flop e l’incubo delle due piazze, quella dei partiti vuota, quella dei movimenti piena, corre tra i dirigenti. Nemmeno Mastella sembra avere intenzioni diverse; anzi si abbarbica, come a un ramo sull’abisso, alle braccia del governo Prodi. Chi invece ha cominciato a smarcarsi perché sente puzza di elezioni, è Antonio Di Pietro, che ha firmato con Alleanza nazionale una proposta per la riduzione dei costi della politica, giungendo persino a spiegare il livello che devono avere la macchine della pubblica amministrazione. Ha invitato a Vasto anche la Brambilla che ci è andata, e ciò non è molto berlusconiano: paradossalmente sembra che essa cerchi un raccordo con il grillismo attraverso il ministro che lo fa proprio.
La spallata invece viene dal direttore del Corriere della Sera, che pone a Prodi, parlando ai giovani industriali a Capri, il dilemma «o rimpasto o dimissioni». Mieli saprà certamente che non è possibile a Prodi il rimpasto, che sarebbe ora un cedimento al grillismo e quindi una prevalenza della piazza sul governo: una sconfitta istituzionale. Del resto anche la Finanziaria è stata una oculata concessione a tutti i settori organizzati, ha soddisfatto le richieste di Confindustria riducendo l’Ires e l’Irap, ha fatto il «risarcimento sociale» richiesto da Giordano.
Perché il centro misterioso dei poteri segreti, il Corriere della Sera, è così fermo e deciso in una richiesta che sembra quella di fare l’impossibile? Se Prodi dovesse andarsene a casa, l’ira di Achille nei confronti di Agamennone sarebbe il tema giusto per comprendere l’ira funesta di uomo collerico e represso, come è il presidente del Consiglio. Si dovrebbe pensare all’uscita dei prodiani dal Partito democratico. Tutti i poteri che fanno riferimento a Prodi darebbero eco alle furie scatenate a Bologna.
L’avventura nella maggioranza dell’Unione era già impossibile quando è avvenuta, ma capisco che Mieli si renda conto del fatto che il grillismo e l’accenno di Bossi ai fucili sono l’indicazione della crisi che sta montando, specie al Nord, contro un governo in cui la cultura dominante è data dalla sinistra rivoluzionaria e anticapitalista. La sinistra non ha più forza al Nord dove la grande industria è finita, non ha più la classe e nemmeno gli operai. Impone, con la sua pressione culturale e ideologica, la sua identità a un centrosinistra che non ha linguaggio proprio. Qui sta la crisi, è essenziale, è nell’essenza dell’alleanza; ma, quando diventerà esistenza dipende dalla fortuna; e quindi dal caso.


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