Guai a sottovalutare il disagio del Carroccio

È tutt’altro che estempora­nea la presa di posizione della Lega. Con buona pace di chi pensa che la Lega abbia un proget­to politico debole o che non abbia a cuore solo le sorti del­la Padania

Guai a sottovalutare 
il disagio del Carroccio

di Stefano B. Galli

È tutt’altro che estempora­nea e occasionale la ferma presa di posizione della Lega a seguito del vertice italo-francese. Non si tratta dell’irritazione per scelte governative non concordate né condivise, che - secondo il Segre­tario federale e ministro per le Ri­forme Umberto Bossi- si configu­rano come una sorta di «calata di braghe». Anche se tale è il cedi­mento su Edison e Parmalat, sul nucleare e l’intervento militare in Libia, in cambio del solo ok per Mario Draghi alla Bce. Fermo re­stando che tutto ciò costerà al Pae­se - tra mobilitazione militare e rimpatri degli immigrati - circa settecento milioni di euro, met­tendo in difficoltà il ministro Ma­roni e il ministro Tremonti. L’uno costretto a gestire i nuovi sbarchi, l’altro a promuovere un inaspri­mento fiscale che, associato a quello chiesto di recente dal­l’Unione europea, renderà la si­tuazione oltremodo delicata e dif­ficilmente gestibile. Non c’entrano neppure, nella differenziazione tra Lega e Pdl, i rispettivi tentativi di smarcamen­to in prospettiva dell’imminente tornata elettorale, per capitalizza­re i consensi e non andare a pesca­re nello stesso bacino elettorale. E non c’entra neppure la solita li­tania della Lega di lotta e di gover­no. Qui bisogna fare i conti con le dottrine del federalismo e con le radici ideologiche del Carroccio, che sostengono e spiegano il suo progetto politico. Quando il ministro Maroni os­serva - e lo fa spesso - che quello della Lega è il simbolo elettorale più vecchio nell’arena politica,di­ce una profonda verità. E implici­tamente fa riferimento ai padri nobili e alle robuste radici teori­che che spiegano tante cose del­l’azione politica della Lega. Die­tro la figura dell’esponente del­l’Union Valdôtaine Bruno Salva­dori, che incontrò il giovane Um­berto Bossi nei corridoi dell’Uni­versità di Pavia alla fine degli anni Settanta, alla vigilia della prima tornata elettorale europea, e lo in­trodusse al federalismo, c’è infat­ti Émile Chanoux. Esponente di spicco dell’auto­nomismo valdostano, fu tra gli estensori della Dichiarazione dei rappresentanti delle popolazioni alpine sottoscritta a Chivasso il 19 dicembre 1943, dopo la resa in­condizionata dell’8 settembre, dai rappresentanti valdostani e delle valli valdesi, che auspicava la costruzione di un’Europa anti­totalitaria e federale su base regio­nale. Chanoux s’ispirava alla tra­dizione dottrinaria del federali­smo integrale di Guy Héraud, Alexandre Marc e Denis de Rouge­mont che, raccolti attorno alla ri­vista Ordre Nouveau , negli anni Trenta promossero un modello di federalismo fondato sulla cen­tralità della persona umana ri­spetto all’ordine politico; un fede­ralismo, dunque, non solo funzio­nale dal punto di vista burocrati­co e amministrativo, ma strumen­to privilegiato per la ricomposi­zione delle derive disgregative della socialità a livello delle comu­nità territoriali. Federalismo co­me democrazia di prossimità, più piena e consapevole. Salvadori, Chanoux e - più in là - il federalismo integrale e perso­nalista di Héraud, Marc e Rouge­mont ( con i quali i contatti, all’ini­zio, vi furono): questa è la fami­glia ideologica che confluisce nel progetto politico del Carroccio. E che guarda all’ordine politico so­vranazionale secondo una visio­ne autenticamente pacifica, poi­ché auspica la fondazione di un’Europa dei popoli, contro quella delle tecnocrazie, della bu­rocrazia e della finanza, così co­me si è realizzata. Un’Europa che - con grande coraggio - il ministro Maroni, qualche settimana fa, ha messo in discussione, interpre­tando un sentimento largamente condiviso dall’opinione pubbli­ca. Violando però un tabù in seno a una classe politica nazionale che cerca sempre la propria legit­timazione nella dimensione euro­pea. Al di là del principio dell’auto­determinazione dei popoli e del­la lettura della crisi libica come problema politico prima che mili­­tare, la presa di posizione di Bossi e della Lega nel quadro delle rela­zioni italo- francesi non deve esse­re sottovalutata. Perché viene da lontano, ha padri nobili e radici robuste.

Con buona pace di chi pensa che la Lega abbia un proget­to politico debole, sfilacciato e li­mitato; che non abbia a cuore le sorti del Paese, ma solo quelle del­la Padania. Non è così. Dietro c’è molto di più: federalismo fa rima con pacifismo, ce l’ha insegnato Kant nella Pace perpetua.

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