Qel che sta succedendo in Palestina dimostra che lo scontro di civiltà è qualche cosa di diverso da quanto molti pensano. Certo, l'ultra-fondamentalismo islamico ha dichiarato guerra all'Occidente. Ma il punto di partenza del caos in Medio Oriente non è questo. È molto più antico. Comincia alla fine del Seicento, quando l'esercito ottomano - che aveva sempre vinto - inizia a perdere. Continua nell'Ottocento, quando il colonialismo riduce la maggioranza dei Paesi islamici a colonie europee. E le risposte alla domanda «Perché l'islam perde?» sono soltanto due. Secondo una prima risposta, modernizzatrice, l'islam perde perché è rimasto indietro rispetto all'Occidente, che lo ha superato nella tecnologia, nella cultura, nelle armi. Deve dunque modernizzarsi e diventare più simile all'Europa. La seconda risposta attribuisce le sconfitte a un castigo divino. Allah punisce i suoi fedeli perché sono diventati troppo, non troppo poco, simili agli europei.
Le due posizioni si sono scontrate in armi nel mondo islamico fin dal Settecento: pascià illuminati di Istanbul contro puritani del deserto arabo, scià dell'Iran educati dagli inglesi contro predicatori fondamentalisti sciiti, dittatori militari contro Fratelli Musulmani, Hamas contro Arafat e oggi contro Abu Mazen. Questa guerra civile islamica è diventata importante per l'Occidente da quando nel XX secolo l'energia - il petrolio - e la demografia - le madri islamiche che fanno tre volte il numero di figli di quelle occidentali - le hanno dato un rilievo mondiale.
Da mesi Israele non spara un colpo in Palestina. La guerra civile fra Hamas e Fatah è solo l'ennesimo capitolo della guerra infinita tra laicisti e fondamentalisti. In Irak muoiono molti meno americani che irakeni, e la guerra non è neppure soltanto fra sunniti e sciiti. È anche fra una visione laica e una rigorosamente religiosa dello Stato.
Con chi stare? L'errore principale di una parte dell'amministrazione Bush è stata dare credito al laicissimo Chalabi, che alle ultime elezioni ha preso lo 0,4%. Certamente Abu Mazen - nonostante un passato non proprio limpido quanto alla corruzione e alla propaganda internazionale dell'antisemitismo - è meno incline all'uso del terrorismo di Hamas.
Ma almeno metà dei palestinesi preferisce la religione di Hamas all'ostentata laicità di Abu Mazen. La lezione di Sharon - un uomo di cui ci sarebbe oggi molto bisogno - è che l'Occidente, per quanto possibile, non deve stare né con gli uni né con gli altri. Hamas vive di terrorismo, Abu Mazen è impopolare e troppo legato al corrotto passato di Arafat.
La difficile rotta di Sharon consisteva nel tenere contatti con tutti: aperti con i laici, sotterranei con i fondamentalisti, che cercava di spingere il più possibile verso l'Arabia Saudita, alleato difficile dell'Occidente ma unica alternativa all'Iran quando si tratta di finanziare e orientare l'islam politico. E la speranza di Sharon era quella che emergesse una terza via: vicina alla religione per accontentare il popolo delle moschee, ma nello stesso tempo lontana dal terrorismo - la via delle monarchie della Giordania e del Marocco, ma anche dell'attuale governo turco. In fondo, è lo stesso augurio che Benedetto XVI ha rivolto all'islam a Ratisbona e in Turchia.
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