Guerra, guerra: trent'anni vissuti in prima linea da due giornalisti

Dai Balcani all'Afghanistan, dalla Birmania all'Irak, fino alla Siria e alla Libia. Le parole e le emozioni di Biloslavo e Micalessin che ci hanno raccontato la cruda realtà dei conflitti

Guerra, guerra: trent'anni vissuti in prima linea da due giornalisti

Pubblichiamo alcuni stralci del libro Guerra Guerra Guerra di Fausto Biloslavo e Gian Micalessin, che sarà in edicola da mercoledì 16 ottobre allegato a il Giornale.

MA'LULA - SIRIA 2013

«Gian, io da quelli non mi faccio prendere vivo, non mi faccio sgozzare. No, non mi faccio ammazzare così. Io e i miei moriremo combattendo. Tu che vuoi fare? » (...) Tutt'attorno c'è Ma'lula. Uno scrigno di case e chiese incastonate nella roccia (...) Un fossile urbano, una reliquia cristiana dove fino a qualche giorno fa riecheggiava l'aramaico, la lingua di Gesù. (...) Il punto è tutto lì, in quelle cinque parole di del capitano Alì. Le giro, le volto, ma non trovo via d'uscita. Come non c'è uscita da questo monastero. (...) Loro, là fuori, sono i ribelli di Jabat Al Nusra, la costola siriana di Al Qaida. (...) « I ribelli controllano la strada 300 metri sopra di noi. Tra noi e loro non c'è più nessuno (...)». Il capitano me lo richiede: «Cosa vuoi fare... cosa preferisci fare? Pensaci: se restiamo qui, ci ritroviamo inginocchiati con un coltello alla gola (...) L'alternativa è mettere il naso fuori, uscire, provare a scappare e, se va male, morire combattendo». Sputo un sorriso, alzo due dita. «Direi la seconda capitano... Sì, la seconda... grazie».

AFGHANISTAN 1983

Jalaluddin Haqqani scandisce le parole con voce tonante per farsi sentire in mezzo a un nugolo di proiettili che fischiano da tutte le parti: «Avete paura? Io no, perché sono protetto da Allah». (...) All'assedio del forte governativo di Urgum, dove sono trincerati i consiglieri russi, Haqqani sta dritto in prima linea a sfidare la morte con il suo barbone nero d'ordinanza, gli occhi come la pece e il tradizionale turbante pashtun. Una lunga mantella lo avvolge, e a tracolla porta il fucile mitragliatore catturato ai sovietici. In cerca di riparo, sono appiattito a terra assieme ai miei compagni d'avventura Almerigo Grilz e Gian Micalessin durante questa assurda intervista in mezzo ai proiettili. L'assalto al forte costruito nell'Ottocento dai britannici è il nostro battesimo del fuoco.

24 MILLIMETRI, IRAQ 2016

Vrrr, vrrr, vrrr (...) una notifica di WhatsApp illumina lo schermo del mio cellulare. Apro il messaggio. Una foto in bianco e nero. Una cavità scura, un testone da E.T. su un corpicino filiforme e quattro sghiribizzi che saranno braccia e gambe. «Amore, ecco i 24 millimetri del nostro bambino. Cerca di tornare... E di farlo presto».

(...) «Ci siamo, fra mezz'ora attaccheremo. Vanno davanti i combattenti, poi ci muoviamo noi. Attenzione ai cecchini e alle autobombe.(...)». Mentre lui parla, io penso a tutt'altro (...) Davanti ho quei 24 millimetri di ecografia, quel testone da E.T., quelle braccine e gambine da ragno. (...) Una manata sulla spalla mi riporta alla realtà. «Ehi, Gian, ti sei addormentato? (...) infilo l'elmetto, afferro la telecamera. Un paio di proiettili fischiano alti sopra le nostre teste. Un colpo di mortaio da 80 millimetri esplode a 700 metri da noi. (...) Non c'è campo, ma intanto preparo il messaggio: «Ciao Paola, qui tutto tranquillo. Sto per andare a pranzo. Aspettatemi, arrivo presto. Un bacio. Tvb».

ANGOLA 1985

Sole a picco sulla boscaglia angolana del Cuando Cubango. Un lezzo nauseabondo trasuda dal terreno martoriato dalle cannonate. È l'odore della morte che rincorre le grandi battaglie. Il volto deformato di un giovane soldato governativo è rivolto verso il cielo. Le orbite degli occhi sono scavate dalle mosche e l'uniforme lacerata da schegge e proiettili. (...) «La situazione peggiora di giorno in giorno», leggo su un brandello di lettera mai spedita che ha ancora nel taschino della divisa. «La notte è gelida e il morale si abbassa sempre più». Camion distrutti, blindati anneriti dalle fiamme, munizioni, scatolame, stivali sono sparsi dappertutto a testimoniare la furia della battaglia. Un tragico panorama con decine di cadaveri disseminati nella savana, in piccoli gruppi, che sembrano marionette con i fili recisi per sempre.

BIRMANIA 1984

Uno, due, tre, quattro colpi di mortaio da 81 millimetri cadono davanti la barriera di alberi e sul declivio alle spalle della piazzaforte. (...) Quando rialzo la testa un po' intontito mi rendo conto che uno dei colpi è arrivato molto vicino. Troppo vicino. Davanti me ci sono almeno due guerriglieri feriti. (...) Sono in overdose da adrenalina. (...) È come se la pellicola della realtà si muovesse al rallentatore, come se la mia mente scomponesse ogni sequenza in singoli fotogrammi. (...)Sento l'odore penetrante quasi eccitante della polvere da sparo, quello dolciastro del sangue lasciato dai feriti, quello del sudore e di escrementi che ogni soldato si porta addosso in battaglia, quello amaro aspro del fango mescolato al fogliame decomposto. Sono folate di odori e sensazioni che passano veloci. Incidono la memoria e volano via.

SARAJEVO, JUGOSLAVIA 1992-'95

La via più sicura per entrare è il tunnel, che ufficialmente non esiste. Un budello sotterraneo di 860 metri scavato sotto la pista, come una vecchia miniera. La vena giugulare per i rifornimenti di Sarajevo, l'evacuazione dei feriti o di chi riesce a fuggire dalla città martoriata. (...) Di notte, in silenzio, senza accendere una luce e pregando che i serbi non comincino a tirare con i mortai, mi infilo con Marzio Mian fra le pareti in legno rinforzate da rotaie della galleria, che si restringe subito in un budello alto un metro e mezzo e largo novanta centimetri. I soldati bosniaci sono stupefatti. «Italiani? Che ci fate qui? Non sapete che c'è la guerra?». Si cammina in fila indiana, a passo lento e piegati a metà in mezzo al fango e alle pozzanghere. (...) In superficie, l'impatto a intermittenza delle granate serbe fa tremare la galleria. (...) Il biglietto da visita della città assediata, lungo il viale dei cecchini, è la tenebrosa scritta «Welcome to hell».

IL REGNO DI EBOLA, ZAIRE 1995

All'improvviso il taxi si blocca ed Ebola ti viene incontro. Sei uomini in camice verde e pettorina bianca con la bocca nascosta da una mascherina spingono una lettiga cigolante. (...) Indossano occhiali di gomma ed elmetti bianchi con la croce rossa. Piegati dalla fatica e dall'affanno muovono quel palanchino rumoroso su cui riposa una salma coperta da un surreale telo a fiori. Sono usciti da una capanna nascosta tra gli alberi, avanzano lentamente verso il ciglio della strada mentre la gente si scosta inorridita, si butta di lato, corre via. Pochi minuti dopo compare un camion. (...) Mentre passa con un ruggito la gente si stringe al muro. «C'est le camion, c'est le camion de la mort», urla terrorizzato il nostro autista. (...) Il cassone s'apre e una folata di morte spazza l'erba trascinando con sé i pochi, temerari curiosi. Uno, due, tre, dieci passi indietro. Non è solo lezzo di morte. È tanfo di carne putrida, d'intestini squassati, secrezioni vomitate. È l'odore di Ebola. L'odore della Morte rossa.

CECENIA 1997

La valigetta ventiquattrore nera è saldamente assicurata al mio polso con delle manette, come nei film. All'interno ci sono le mazzette da cento per un totale di mezzo milione di dollari, il riscatto per liberare Mauro Galligani, fotografo di Panorama rapito in Cecenia il 23 febbraio 1997. (...) In mezzo alle brulle colline a pochi chilometri da Groznyj, la capitale della martoriata repubblica caucasica, è il momento di scendere dalla jeep. (...) Dopo quindici passi intravedo una figura infagottata nel giaccone grigio, in mezzo a due banditi mascherati e armati fino ai denti. «Mauro, sei tu?», chiedo a bassa voce. «Sì», risponde sussurrando Galligani dopo un mese e mezzo di prigionia. Nell'oscurità sento il fruscio delle banconote passate per un contasoldi collegato alla batteria della macchina dei rapitori.

Se non ci fossero tutti, o se vi fosse qualsiasi altro problema, verrei preso in ostaggio al posto di Mauro. Dopo il segnale che è tutto ok uno dei tagliagole abbozza in russo: «Italiani brava gente». (...) Mauro Galligani è finalmente libero.

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