Guerra nei cieli per il figlio delle Due Torri

Il costruttore non ha ancora i soldi E il sindaco: case al posto di torri

Guerra nei cieli per il figlio delle Due Torri

All’ombra del fantasma della Freedom Tower, il dramma. Tutti contro tutti: Michael Bloomberg contro Larry Silverstein, George Pataki contro Eliot Spitzer e in mezzo a Bloomberg e Silverstein. Adesso Gangs of New York è ambientato sulla voragine di Ground Zero. Lì sotto, dove un giorno, forse, chissa, magari nascerà un’altra torre, la Freedom Tower: il grattacielo che vuole vendicare le Twin Towers. Più alto, più bello, più imponente: 541 metri, 1.776 piedi. Il disegno è dell’architetto Daniel Libeskind, poi nello staff è stato inserito anche David Childs, nemico e rivale del primo, ma preferito da Larry Silverstein, il miliardario del cemento che alla vigilia degli attacchi ottenne i diritti sul terreno del World Trade Center per 99 anni.
La Freedom Tower sembra maledetta. Dopo la lite Libeskind-Childs, è toccato a Silverstein e Bloomberg. Il sindaco ha chiesto al costruttore di cambiare progetto. Troppo ingombrante quella torre. E poi Bloomberg vorrebbe anche degli appartamenti affacciati sul mare di fronte alla statua della libertà. Silverstein resiste: dice che ce la farà, che troverà i dollari necessari per il suo mastodontico programma. Perché intorno al nuovo World Trade Center il problema vero sono sempre stati soldi. La costruzione del complesso che andrà a coprire il cratere di lower Manhattan costerà 12 miliardi di dollari. In questo momento è una somma che a New York non ha nessuno, tantomeno Silverstein. Aveva chiesto sette miliardi di dollari di risarcimento alle compagnie assicurative, sostenendo che gli attacchi dell’11 settembre fossero due, distinti e separati. La Corte gli diede torto: l’attentato fu uno solo. In due fasi, ma uno. Così all’affittuario dei 900mila metri quadrati del Wtc è stata concessa la metà della cifra richiesta. Con tre miliardi in meno, Silverstein è rimasto spiazzato. Tanto più che secondo il Wall Street Journal in pochi mesi sono andati in fumo 1,3 miliardi di dollari. Molti sono finiti nelle casse degli studi legali impegnati nella battaglia poi persa. Altri sono stati usati per coprire i buchi di alcune società immobiliari. Il tutto senza che nella voragine di Ground Zero sia arrivata una sola squadra di muratori.
Neanche gli aiuti del comune e del governo federale bastano. Per questo Bloomberg negli ultimi tempi ha cominciato ad attaccare: «O Silverstein trova i soldi, oppure molla tutto e si ricomincia di nuovo, senza torre, con una serie di costruzioni basse: case e uffici. Tutto più umano». Si tratta ancora. Tutti contro tutti. In gioco non c’è solo una torre. C’è un sistema al quale ripensare: quello di sfidare il cielo. New York forse è solo avanti e pensa prima degli altri. In tutto il resto del mondo si va verso l’alto. A Dubai dove ventimila operai, centinaia di ingegneri, una manciata di architetti stanno tirando su il Burj Dubai, un palazzo senza un’altezza finale. Si dice solo che sarà almeno 600 metri, divisi in 160 piani. I lavori hanno un costo stimato di circa 900 milioni di dollari e dovrebbero essere ultimati entro il 2008. Dubai che vuole sfidare New York punta a umiliare anche l’attuale edificio più alto del mondo, il Taipei 101 di Taiwan. Anche Chicago è in corsa con la sua Fordham Spire. L’ha immaginata Santiago Calatrava e dovrebbe essere costruita da Christopher Carley.

La torre è stata concepita con una forma che ricorda quella di una candela che si attorciglia su se stessa fino a raggiungere i 610 metri, con 115 piani di alberghi e appartamenti residenziali. Costerà 500 milioni di dollari. Per ora è solo carta: non c’è neanche un centesimo.

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