Roma Presto o tardi arriva il momento della verità. Per meglio dire «delle» verità, trattandosi di Pd, il partito talmente democratico da essere ormai a misura di ciascun esponente. Novità rivoluzionaria: ognuno pensa di stare nel proprio partito anche se non è quello degli altri. Al bando il vecchio concetto di linea unica, sorpassata l’idea di leader che comanda. Ognuno si inventa il partito che vuole, duri finché può. Felice corollario: finalmente si possono dire in pubblico concetti e verità a lungo custodite negli armadi del Loft. Ecco le principali.
Uòlterriani Non inganni la felice assonanza: non hanno nulla a che fare con i lumi di Voltaire. Sono totalmente al buio, come il leader. Le verità sono quelle dichiarate ieri da Giorgio Tonini, anima spirituale e pasdaran del veltronismo applicato all’uomo. «C’è un lavoro obliquo e opaco contro Veltroni. Volevano piantargli una banderilla nella schiena come si fa con i tori... ». Ma non si era tutti un’amorevole famiglia? Macché: «C’è chi ritiene che il Pd abbia raggiunto la soglia massima di espansione, che corrisponde al Massimo (la maiuscola non è un refuso) storico del Pci, il 33 per cento, e che dunque l’unica strada per vincere è compensare ciò che manca con un sistema di alleanze, in particolare favorendo il formarsi di una consistente formazione politica al centro, cioè alla nostra destra: il progetto Red and White». È solo D’Alema, il solito guastafeste, a pensarla così? Per carità: «Banale semplificare: questa divisione attraversa trasversalmente tutto il partito».
Perrier L’assonanza direbbe terrier, ma il nome deriva da «Per», l’invenzione di Rutelli «per» risalire dalla depressione dopo il tonfo romano. Il leader è tornato a far uso di pane e cicoria, effetto stupefacente: «Il male non sono le differenze, ma le mancanze di sintesi. E in politica la sintesi la fa la leadership». Dunque Veltroni è un leader incapace, questa la verità a lungo taciuta. Ma le famose, celebratissime primarie? Rivela Linda Lanzillotta: «Le primarie, quando sono vere, producono leader molto competitivi. Quando invece sono un po’ preconfezionate, emergono guide che magari hanno difficoltà a gestire i partiti». No, Uòlter proprio nun gne la po’ fà. Eugenio Scalfari: «Le lacerazioni del Pd viaggiavano sotto traccia fin da quando Veltroni fu chiamato alla leadership... La sua ascesa alla segreteria fu voluta dai due gruppi dirigenti dei Ds e della Margherita». Alla faccia dei gonzi che credettero alle primarie di gente qualunque descritte da Repubblica.
Reddini Più che da «Red», associazione dalemiana, da «piccolo Re». Ormai sono usciti allo scoperto, a differenza del divo Max, e ogni giorno la dicono lunga sul Travicello alla guida del Pd. Non lo reggono più, consci che se non si ripristina l’alleanza con un partito centrista, non ci sarà mai più trippa per i gatti, come disse D’Alema sostenendo che l’Italia, «purtroppo è un Paese di centrodestra, «che ce potemo fà?». Si attenderà che le Europee tolgano di torno l’improvvido Incompetente che già portò i Ds al minimo storico (16%).
Fassini Piccola corrente abituata alle vie Crucis. Più la situazione si fa nera, più spera di poter giocare il ruolo di terzo gaudente. «Basta con il duello Orazi-Curiazi. La nostra gente è più unita di noi», l’appello di Piero Fassino. Ma viene considerato un po’ menagramo.
Nordini Sono i sindaci del Nord, che in realtà si riducono ai due rompighiaccio: Sergio Chiamparino e Massimo Cacciari. Da Ovest a Est, reclamano spazio e un partito federale. Difficile, con il carico che il partito riscuote al Centro, che il carretto prenda mai per il Nord.
Prodini Divisi a loro volta tra Parisi e «Rosy per sempreBindi». Alla famiglia appartiene Franco Monaco, sollevatosi di fronte alla prospettiva di una «equidistanza del Pd tra Pdl e Idv». «Di Pietro non si tocca!», ha fatto sapere Monaco, per sempre riconoscente all’ex Pm.
Lettini Sottofamiglia della Prodi-Parisi-Bindi.
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