Guerra di veleni per l’Fmi Spunta un dossier contro l’erede di Dsk

Una guerra sotterranea, garbata come usa nelle alte sfere del potere e della finanza, ma senza esclusione di colpi. Dove il palcoscenico, o il terreno di caccia, è sempre più spesso allestito su Internet, la giungla elettronica del terzo millennio. Dove le vittime non versano sangue e non sono neppure strozzate, ma «muoiono» lo stesso, proprio come se avessero rimediato quattro pallottole nel costato. Una guerra combattuta fra i potentati della vecchia Europa e una sorta di «Commissione» americana che vede come il fumo negli occhi istituzioni importanti come il Fondo Monetario nelle mani degli europei.
Prima la raffinata trappola in cui è caduto Strauss-Kahn (di cui si conosceva la capacità di costruirsi dei trabocchetti e di cadervici a piè pari). Ora è la volta di Christine Lagarde, ministro francese dell’Economia e nuova direttrice generale «in pectore» del Fondo monetario internazionale. Niente sesso, nei confronti della Lagarde. Il siluro indirizzato a lei si presenta come un rapporto segreto della Corte dei Conti che tira in ballo la Lagarde a proposito del risarcimento monstre concesso nel 2008 al miliardario Bernard Tapie nella causa che lo vedeva opposto al Credit Lyonnais nel quadro della vendita di Adidas.
Nel primo caso fu «Atlantico.fr», un sito Internet vicino al presidente Sarkozy, si dice, a mitragliare per primo nel mondo la notizia del passo falso di DSK. Ora, nel caso della Lagarde, il sito si chiama «Mediapart», autore nel recente passato di clamorosi scoop come quello dello scandalo Bettencourt. Due siti, entrambi francesi, ma dove lo zampino che muove il mouse starebbe oltre Atlantico, negli Usa, dove non si è fatto nulla per nascondere i malumori nei confronti della gestione europea del Fondo. Fantascienza? Forse. Ma forse no. Del resto, a pensar male si fa peccato, avvertiva Andreotti; però spesso ci si azzecca.
Secondo «Mediapart», il rapporto della Corte dei Conti francese sarebbe capace di far saltare la candidatura della Lagarde, invisa tra l’altro anche alle nuove potenze dell’economia mondiale (Cina, Brasile, India) che si oppongono alla nomina del direttore generale «per consenso», ovvero per chiamata dai Grandi, come tradizione fin qui ha voluto. Ma sono vecchie abitudini (quelle che vogliono un europeo sulla poltrona di direttore generale) dure a morire, almeno fino a quando non entrerà in vigore quella riforma del Fmi voluta fortemente dallo stesso stesso Strauss-Kahn.
Le profonde modifiche alla governance del Fmi devono infatti essere ratificate da un numero di Paesi pari almeno all’85 per cento dei diritti di voto. Si tratta di oltre 110 nazioni, ma è un processo che può andare avanti per anni.
L’intesa, quando si troverà, sposterebbe il «baricentro decisionale» dell’organismo verso le economie emergenti, a iniziare dai Paesi del Bric (Brasile, Russia, India e Cina). In particolare a Pechino, coerentemente con il suo status di seconda economia mondiale viene attribuita una maggiore responsabilità, con una quota di diritti di voto che dal 3,65 % passa al 6,07% del totale, dietro solo a Usa (16,47%) e Giappone (6,13%).
Lo «scandalo di Stato» denunciato da «Mediapart» ha a che fare con l’assegnazione al miliardario Bernard Tapie, ex proprietario dell’Olympique Marsiglia, di 403 milioni di euro, 230 dei quali finirono dritti, nel 2008, nelle tasche dell’uomo d’affari.

La Lagarde, ricorda «Mediapart» nel suo scoop, sostenne che poichè la procedura rischiava di durare in eterno era meglio far sborsare allo Stato quel malloppo. Peccato, dicono quelli del sito Internet, che la Corte dei Conti sostenga ora «l’assoluto contrario».

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