Guido Calogero Quando la politica si fa col dialogo

Teorico del Partito d’azione, era sicuro di poter trovare nel discorso la verità

I vecchi come me devono essere la memoria storica dei giovani, su fatti che a noi appaiono contemporanei, ma che a loro sembrano molto remoti. Voglio perciò spiegare loro l’origine italiana dell’uso oggi diffusissimo in politica della parola «dialogo» (derivante, come tutti sanno, dall’attività letteraria di Platone).
Poco prima dell’ultima guerra un cultore della filosofia antica di fama mondiale, Guido Calogero, si mise in testa di essere un teoreta e una guida spirituale: fu lui a dare una valenza politica alla parola. Concorse anche alla cattedra di Filosofia teoretica che era stata di Giovanni Gentile, ma la commissione gli preferì (non a torto) Ugo Spirito.
Calogero era persuaso che l’atteggiamento filosofico di chi dialoga fosse atto a fondare la nuova vita politica, che sarebbe nata dalla fine, ormai imminente, del fascismo e della guerra. Divenne così il teorico del «partito d’azione», che dell’omonimo partito risorgimentale conservava ben poco, salvo l’incapacità di tradurre il pensiero in azione. Calogero era uno dei massimi studiosi della «scuola di Elea», da cui anche Platone aveva tratto spunto per cercare un esito pratico alla speculazione. E la scuola di Elea era l’opposto della filosofia di Eraclito di Efeso che, di fronte al gran parlare dei suoi concittadini, era solito, polemicamente, tacere. Sosteneva che l’armonia più bella nasce dagli opposti. Per contro gli Eleati professavano un’identità assoluta tra l’essere e l’apparire e speravano di dimostrarlo attraverso un discorso che fosse, al tempo stesso, «ragione» (le due parole, etimologicamente, coincidono).
Di qui la fiducia di Calogero di trovare nel discorso dialogico la verità e, pertanto, l’accordo anche politico. Laicissimo, si era messo lui stesso a dialogare con Giovanni XXIII, diventando esegeta delle sue encicliche. Forse vedeva nel proprio nome un auspicio, perché in greco bizantino calogero (alla lettera, «bel vecchio»), significa «monaco». Di qui il significato del principio - mille volte ripetuto dalle sinistre d’oggi, non solo in Italia - che condizione necessaria della pace è il «dialogo». Lo dice Platone in Repubblica, 454: «Non contendere, bensì dialogare» («ouk erízein allà dialégesthai»).
Ma un professore di filosofia, per quanto illustre, non avrebbe avuto tanto seguito senza una moda oggi difficilmente concepibile, diffusa in Italia con rispondenze anche all’estero: riattualizzare i dialoghi di Platone. Lo fecero attori illustri, come Ermete Zacconi e Ruggero Ruggeri, e perfino il cinematografo. La destra, già allora, ironizzava. Giovanni Mosca, sul Bertoldo, faceva domandare a Socrate: «Dobbiamo noi comportarci come i più (hoi polloi), o al contrario?». L’interlocutore rispondeva «al contrario», perché già allora le sinistre erano «aristocratiche». E Socrate incalzava: «I più mangiano forse i telegrammi?». La risposta era no. «Dunque, noi dobbiamo mangiare i telegrammi».
Platone, in realtà, esercitava l’ironia anzitutto su se stesso. I suoi dialoghi più vivaci sono i primi, privi di conclusione. Nel periodo centrale la Repubblica formula una teoria politica ed eugenetica peggiore di quelle di Hitler, ma avverte che si tratta di un modello, a cui la realtà deve solo ispirarsi (lo faceva Sparta). Non tenendo conto di ciò, Karl Popper vede in Platone un nemico della «società aperta». Anche Calogero e il partito d’azione non tenevano conto abbastanza del divario, perché erano pervasi di «eleatismo», ossia di identità dell’apparente col reale. Prima di concludere nei dialoghi della maturità (che sono sempre più monologhi) Platone aveva commesso un «parricidio» contro Parmenide; ma di questo sembra che i seguaci del partito d’azione non si siano accorti.
Potrei raccontare molte altre cose. Per esempio, la conversione di un mio compagno d’Università, Luciano Gruppi, che mi parlò per primo di Calogero come capo politico, ma poi passò al comunismo. Oppure di certe poesie erotiche senili di Calogero, dedicate alla moglie, con la pretesa di scherzare. Qualcuno ne lesse brani per opporsi, inutilmente, al passaggio dello studioso da corrispondente a socio nazionale dell’Accademia dei Lincei. Ma andremmo nel pettegolezzo. Mi limito a osservare che oggi, tra destra e sinistra, è cambiato pochissimo.

La sinistra continua a invocare il dialogo come strumento di pace tra i partiti e le religioni. La destra osserva che il dialogo non crea ma presuppone la pace. Platone rimane un maestro, ma la sua attività politica fu un disastro e il suo pensiero va colto con ironia.

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