Hannibal ha divorato tutti i suoi colleghi

I serial killer hanno ucciso il thriller. O quasi. Diciamo che gli hanno dato una bella mazzata e lo hanno ridimensionato. Il thriller è un tipo di romanzo dove c’è emozione, ma soprattutto azione, suspense e cuore in gola. Sennonché, a forza di botte di adrenalina, anche il fisico più temprato si sfianca. E se quel fisico è il corpo dei lettori italiani, già di per sé gracile, allora eccolo apparire un po’ sovraffaticato. Le classifiche di vendita parlano chiaro. La narrativa noir segna il passo.
«La strada l’avevano aperta gli americani», commenta Sergio Altieri, responsabile dei Gialli Mondadori e della collana «Segretissimo», uno che quando fa l’autore si firma Alan D. Altieri. «Ma certi fuoriclasse, anche nel campo delle vendite, come Patricia Cornwell, James Ellroy e Thomas Harris, non sono facili da replicare. Di personaggi come Hannibal Lecter ne salta fuori uno ogni cinquant’anni. Altri continuano a cavarsela bene, vedi Robert Crais o Michael Connelly. Ma altri ancora fanno una bella fatica. Prenda Frederick Forsyth. Pensa che i lettori stiano in trepida attesa che esca il suo nuovo libro?». E infatti forse il genio è stato davvero Thomas Harris, che chiamando Lecter il suo eroe antropofago, può aver ipotizzato che a cannibalizzare il genere sarebbero stati i lettori stessi.
Insomma, non basta scrivere «thriller» in copertina, per sostenere le vendite. Non è come stampigliare «senza zucchero» o «biologico» su una confezione di succo di frutta. L’acquisto non è garantito. Non più. Negli anni Novanta filava tutto liscio. E ancora oggi si vive un po’ di rendita. Una casa editrice come la Piemme, con una collana chiamata «I maestri del thriller», pur in edizione economica, ha potuto finora riposare sugli allori, tantopiù che gli stessi titoli si erano già comportati benissimo in edizione rilegata (quella, per intenderci, più «ricca» e costosa).
Ma negli ultimi anni le cose sono cambiate. All’interno stesso del thriller si sono andati a creare dei sottogeneri, tutti con capiscuola e imitatori. Esempio: John Grisham è un caposcuola del «legal thriller», ma non tutti i suoi seguaci hanno avuto pari fortuna. «Il genere in effetti è andato calando», conferma Maria Giulia Castagnone, direttore editoriale di Piemme. «Non però in tutti i suoi risvolti. Per esempio: il thriller basato su un assassino seriale è stato soppiantato da quello esoterico. Il Codice da Vinci ha dato l’avvio a un sottogenere che bene o male regge il colpo». Ci può dire un titolo? «I codici del labirinto di Kate Mosse. Ha raggiunto 60mila copie». E uno che invece va meno bene del previsto? «George Pelecanos. È un autore di culto, di grande talento, ma resta inchiodato su numeri piccoli, diciamo 7mila copie». Non sarà che ci sono troppi autori? Non finiscono per sgomitare l’uno contro l’altro? «Non credo. Diciamo che è impensabile che pubblicarne meno cambi le cose. Se facessimo meno autori, venderemmo anche meno copie. Perché verrebbe a mancare nel pubblico la curiosità della scoperta».
Insomma, anche l’editoria funziona a cicli, a ondate. Come la moda, con la differenza che in quella i gusti li decidono gli stilisti. Per i romanzi, a decidere è il pubblico. E quando il pubblico si fissa con pochi nomi e pochi argomenti, quelli sono e quelli restano. «Anche tra gli italiani è così», sostiene Altieri. «Faletti, Lucarelli, Fois, Evangelisti, Genna. Dico nomi di autori che hanno trovato un pubblico abbastanza vasto. Altri, che hanno puntato sul thriller solo per vendere, si sono polverizzati. Semplicemente, non era il loro mestiere. Meglio scrivere quello che si sente che ricercare il successo a tavolino».
Anche alla Mondadori gli autori di noir o di romanzi d’azione sono diventati troppi. Di qui il dirottamento verso le collane da edicola. Un altro aspetto da non sottovalutare è la ripetitività delle trame. Da quando gli schermi sono invasi da esperti della Scientifica, da anatomopatologi e da medici legali, l’investigatore, solitario o al massimo in coppia, non esiste più, spazzato dalla squadra o, peggio ancora, dalla «macchina» delle indagini, che è diventata essa stessa un personaggio.
La morbosità voyeuristica impazza del resto in tv. L’horror è tutti i giorni sulla pagina e sullo schermo. Qual è il valore aggiunto del libro, dell’opera di fiction? Secondo uno scrittore di genere di grande successo e qualità tecniche come Dennis Lehane «nove libri di genere su dieci parlano di esclusi, di gente in difficoltà, di cui i mass media non si occupano perché in America di solito si vola alto, si considerano solo i ricchi». «Descriviamo perlopiù vicende di gente che vive ai margini», sostiene Robert Crais, «tra disperazione e paura». Rincara George Pelecanos: «Molti di noi vengono proprio dai bassifondi, dalla working class, siamo cresciuti tra delinquenza e sopravvivenza».
Ma dove questo discorso non regge più, cioè nella fiction pura, costruita a tavolino, il discorso cambia, e le rese delle librerie stanno a testimoniarlo. Entrando alla storica libreria del Giallo di Milano, la Sherlockiana, ci si trova nel mezzo di una rassegna degli orrori, tra noir e splatter che la fanno sempre più da padroni, a scapito del giallo classico e a partire dal sotto-sotto genere della graphic novel, una via di mezzo tra il romanzo e il fumetto, che però scivola inesorabilmente verso il secondo. Il parere della libraia, Tecla Dozio (che dirige anche una collana di gialli per le edizioni Todaro) è che gli editori siano conformisti e cristallizzati su posizioni rigide. «In altre parole, sottovalutano i lettori, cercando di nutrirli sempre con la solita minestra riscaldata. Una parte di responsabilità è però anche dei librai: non rischiano mai nell’ordinare copie di libri di autori sconosciuti, che possono invece anche essere innovativi e talentuosi».
A difendere la tesi della ricerca pensa Francesca Cristoffanini, editor di narrativa straniera della Rizzoli: «Ammettiamo il momento di stanchezza e anche la difficoltà nel lanciare nuovi autori, soprattutto in edizione rilegata. Eppure sono anni che gli addetti ai lavori non si accontentano, ma cercano l’idea, quello che in gergo si chiama hook, l’aggancio forte con il mondo dei lettori. Adesso ci stiamo provando con il thriller storico, da Jed Rubenfeld, con L’interpretazione della morte, ispirato a Freud, a Jennifer Carrell, con W., che si rifà alla vita di Shakespeare. Si tratta di mescolare i generi e farli dialogare.

D’altronde proprio pochi giorni fa, a Francoforte, gli editori si contendevano a caro prezzo soprattutto i thriller. Noi l’abbiamo spuntata con Amy McKinnon, che nel suo Tethered mette al centro dell’azione il personaggio di un’impiegata di pompe funebri».
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