Hanno usato le email fantasma e Skype per diventare invisibili

Avevano registrato utenze a nome di Roveraro dando un indirizzo falso e un nome inventato: Paolo Rossi

Enrico Lagattolla

da Milano

Giovedì 6 luglio, le 9 del mattino. Al primo piano dello stabile di via Alberto da Giussano 26 arriva una telefonata. È Gianmario Roveraro. Poche parole alla moglie, la conversazione è interrotta. Dieci minuti dopo, un’altra chiamata. «Sto bene, torno presto. Sono in Austria. La linea potrebbe cadere, sto chiamando da un computer». Il giorno dopo, la stessa cosa. Poi più nulla. Le ultime parole del finanziere alla famiglia però sono indizi. Poche informazioni, due tasselli soltanto. Eppure, sono il cardine dell’indagine.
Il primo tassello passa proprio da quelle telefonate «che potrebbero cadere». Dai tabulati Telecom, infatti, le chiamate fatte da Roveraro ai familiari appaiono prive di indicazione del numero. Gli inquirenti ipotizzano che le comunicazioni passino attraverso un sistema Voip. Telefonate, cioè, che si appoggiano a un computer collegato a internet. E, tra i servizi Voip esistenti, il più noto è Skype. La società, fino a poco tempo fa con sede legale in Lussemburgo, viene di recente acquisita dall’americana eBay. L’ufficio, quindi, si trasferisce a Milano. Non servono più rogatorie. Ai magistrati vengono immediatamente forniti i tabulati di traffico, in particolare quelli delle telefonate in entrata sul numero di casa di Roveraro. Due indizi: «rov87», account creato il 26 gennaio di quest’anno, e attribuito al nome Paolo Rossi, e «bitorzolo77», registrato il giorno successivo a nome Paolo Grassi. Intestatari di fantasia. Le e-mail di riferimento che i due user attivano per ricevere la corrispondenza da Skype vengono criptate attraverso un server di posta che rende anonimi gli indirizzi. Ma un altro passo è fatto.
Perché Skype fornisce agli inquirenti anche gli altri contatti di «rov87» e «bitorzolo77». Tre numeri di cellulari, le cui schede erano state comprate nello stesso centro commerciale di Modena: i numeri sono sequenziali. I telefoni sotto controllo si spostano simultaneamente tra Parma e Milano. Appartengono a Marco Baldi, il «custode» di Roveraro, Emilio Toscani, il coordinatore delle operazioni, e Filippo Botteri, l’organizzatore del sequestro.
Il secondo tassello è di nuovo nelle ultime parole dette dal finanziere alla moglie. «Sono in Austria». La donna, ai magistrati, racconta che da almeno sei anni il marito fa più viaggi di lavoro all’estero. Non solo. In Austria, Gianmario Roveraro non c’è mai stato. L’unica cosa che le viene in mente è un investimento fatto dal marito tramite Botteri verso una società austriaca, il cui amministratore - Franco Todescato - compare nell’elenco delle persone chiamate dai telefoni intercettati. Un altro elemento. Forse, quello decisivo.
Perché l’uomo, sentito dai magistrati il 15 luglio, racconta di «un affare andato male», del «rancore di Botteri nei confronti di Roveraro», di frasi come «maledetta la volta che ho cominciato quella operazione!». Nel passato del finanziere, persona universalmente stimata, si apre una crepa. E quella crepa, dietro cui si cela Botteri, ha un nome: «operazione anglo-austriaca».
I due, infatti, diventano «soci» nel 2002. «Nel febbraio di quell’anno - ricorda Botteri ai pm Alberto Nobili e Mario Venditti - acquistammo al 50% l’inglese Eds Ltd. Versai una somma di 250mila euro». L’anno dopo investono nella «Austria international consulting Gmbh», costituita proprio da Todescato. L’affare avrebbe dovuto garantire un guadagno superiore ai 20 milioni di euro. Ma qualcosa va storto. Sempre il 15 luglio scorso, ai magistrati Botteri dichiara «di averci perso una cifra pari a 2 milioni e 600mila euro nell’anglo-austriaca, compresi gli interessi che avrei dovuto riconoscere alle persone i cui fondi mi erano stati affidati per essere investiti in questo affare». Botteri, dunque, insiste. Chiede denaro a Roveraro. Gli fa presente di aver contratto debiti con persone «pericolose». Qualcun altro è stato coinvolto nell’affare della Austria international consulting. E sta battendo cassa. Chi siano questi «soci», è ancora da chiarire. Forse, quegli «ambienti malavitosi della zona di Parma e di Reggio Emilia» di cui parla il gip nell’ordinanza di custodia cautelare. Certo è che di denaro investito - e forse perso - ne è circolato molto. Il 6 luglio, infatti, agli uffici della Alter sim - società di cui Roveraro è consigliere - arriva un fax.

Il numero, ancora una volta, rimanda a un dedalo di terminali sparsi tra Dublino, Roma e Lugano. Roveraro chiede che gli vengano messi a disposizione 10 milioni di euro. Il denaro non viene sbloccato. Il giorno dopo, al telefono, la seconda richiesta. Questa volta di un milione. È l’ultimo segnale. Inutile.

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