Venezia - Insomma, quando i Sex Pistols sono saliti sul palco, erano le 11 e rotti di ieri sera, ed ecco lì si è chiuso il cerchio del punk. Al pomeriggio, qui all’Heineken Jammin Festival di Venezia, aveva cantato Iggy Pop con i suoi Stooges ed era stata una sberla di rock durissimo, sfibrante, suonato senza fiato per più di quindicimila persone che si sono trovate di fronte un tizio che ha fatto la storia del punk, anzi l’ha inventato sulla sua pelle trent’anni fa e ora lo porta in giro esattamente com’era allora. Un trionfo, per dirla tutta, commovente e quasi triste, macchiato dalle rughe e dalle epoche che passano. Quando è arrivato in scena, il sole era arrabbiato e la chitarra ha iniziato presto a esserlo, inanellando i riff di Loose street e poi di 1969 e poi ancora di I wanna be your dog, che sono diventati il proscenio sul quale lui, James Newell Osterberg detto Iggy, faceva quello per cui è nato: il mattatore. A torso nudo. I capelli biondi e inferociti. Zoppicando come il solito. Non c’è nulla di più minimale di una canzone degli Stooges, e violento: batteria incarognita, basso affannoso, delle chitarre s’è detto, e poi Iggy che a 61 anni saltella come un ragazzino, si dimena, manda tutti a quel paese e s’arrampica pure sugli amplificatori per fare quel gesto là, puerile e pecoreccio, che chiama il boato della gente. Ecco, il punk era questa cosa qui: la liberazione ancestrale, il «rutto dell’anima» come scrisse qualcuno, e chissenefrega delle buone maniere. Ma ora.
Iggy Pop, uno che a scuola aveva vinto il premio del liceo come «ragazzo che aveva le maggiori possibilità di far successo», divenne celebre a metà degli anni Settanta, quando, strafatto, era il portabandiera dell’autodistruzione, il manifesto vivente - si fa per dire - del vizio compiaciuto e strafottente, della voglia di dire ma che ci sto a fare qui visto che tutto mi fa schifo. Con David Bowie, Lou Reed e Brian Eno era persino l’opinion leader del cambiamento non solo musicale, il messaggero che poi tanta politica e molto intellettualume ha sfruttato per altri scopi, ben più devastanti. E in effetti la musica, quella rock, è cambiata, ha metabolizzato i germi punk ed è rinata con un altro vestito che ancora oggi sfila in passerella con, tanto per dire, gli U2. Ecco, quando Bono ammette i suoi debiti con il punk, un po’ ringrazia anche Iggy Pop e la sua scombiccherata follia, quella voglia tremenda di cambiare il mondo e di pagarne anche le conseguenze. Sarà anche per questo che Iggy, oggi a 61 anni, sudato come un ragazzino che gioca nella sabbia, è quasi compiaciuto nel gridare il suo «fuck», il suo fanc... al mondo qui sul palco dell’Heineken Jammin Festival e canta con enorme rabbia Fun house oppure la violentissima Search & destroy che ha quasi trentacinque anni. Quando quel brano era un inno punk primordiale, i Sex Pistols erano ancora di là da venire. Inglesi di Londra, emarginati, drogatissimi, i Sex Pistols furono la commercializzazione del punk e dimostrarono la sua forza commerciale, lanciando - con la complicità di Vivienne Westwood - uno stile persino capace di andare sulle passerelle di moda. E, a gennaio del 1978, nel giorno del loro ultimo concerto prima di spappolarsi (e veder morire l’incolpevole e ingenuo Sid Vicious), i Pistols cantarono proprio No fun, una cover di Iggy Pop, e poi se ne andarono dal palco (e l’hanno suonata anche qui). Tornarono nel ’96, poi nel 2003 e poi ancora adesso, mettendo in scena, loro che da ragazzini schiumavano rabbia, uno spettacolo nostalgico che di violento ha solo lo schiaffo al passato. Ingrassati, visibilmente deboli come musicisti, i Sex Pistols di Johnny Rotten, Johnny il marcio, suonano Pretty vacant o Holidays come nel 1978 ma hanno perso lo swing, la capacità di incidere: sono un fenomeno, una macchina da incassi che non ha più niente di creativo.
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