"Sigfrido Ranucci non è al di sopra delle regole, il Garante della Privacy ha ragione". Dopo le bombe vere sul conduttore di Report arrivano le prime pallottole di carta. Su Repubblica l'ex parlamentare Pd Luigi Manconi dà una bella strigliata al vicedirettore Rai, sbattendogli in faccia l'articolo 15 della Costituzione, che sancisce l'inviolabilità della libertà e della segretezza delle comunicazioni. "La tutela da assicurare a Report dopo l'attentato e quelli che lui ritiene tentativi di delegittimarlo non hanno nulla a che vedere con una pretesa di immunità". L'esponente di sinistra, in un pezzo titolato tartufescamente per non disturbare Ranucci, regala al giornalista una lezione di diritto. La tesi del Garante sarebbe supportata da argomenti "francamente condivisibili" sul piano del rispetto dei diritti e della dignità delle persone. Perché secondo l'ex parlamentare, senza nulla togliere alla "libertà professionale e culturale" di Ranucci che deve restare "intatta", a Manconi non è piaciuto "il linguaggio cui ricorre, la trama complessiva in cui inserisce i temi trattati e i bersagli individuati". Insomma, ciò che da anni contraddistingue lo stile Report - sospetti, suggestioni, ipotesi - che in passato ha mascariato ingiustamente carriere e reputazioni, con il placet della magistratura che di fronte al "giornalismo d'inchiesta" tutela la ricerca della verità più della verità stessa. Se è giusto passare al setaccio la vita dell'ex ministro della Cultura Gennaro Sangiuliano, non era lecito né opportuno "diffondere quell'audio" della telefonata con la moglie Federica Corsini, giornalista del Tg2 sputtanata dalla "sua" tv di Stato, dietro l'alibi dell'interesse pubblico e del diritto di cronaca, quando per Manconi è stata solo "la rivelazione della sfera intima" di due persone vulnerabili", penalmente irrilevante per chiarire i contorni dell'affaire nato dalle dichiarazioni dell'ex consulente Maria Rosaria Boccia (a processo per stalking), anzi "totalmente superflui".
Anche il Corriere della Sera si è svegliato, sentendo il direttore editoriale del Secolo d'Italia Italo Bocchino - come aveva fatto già il Giornale - che ha confermato "l'innocenza" del componente dell'Authority Agostino Ghiglia, pizzicato nel palazzo che ospita la sede di Fratelli d'Italia. "Era da me a discutere di un libro", dice uno dei migliori amici di Ranucci a destra. Mentre restano inevasi i dubbi sul possibile "pedinamento" di Ghiglia - il cui voto sulla maxi sanzione da 150mila euro era comunque ininfluente - e sull'inviato di Report autore del video, a molti non è sfuggito lo strappo all'etichetta che Ranucci ha inferto al rigido protocollo di Montecitorio. L'altro giorno, durante la presentazione del libro Genocidio di Rula Jebreal, in cui ha accusato il Giornale di "ipocrita solidarietà" per i dubbi sollevati sul caso Boccia e Ghiglia, Ranucci indossava il solito giubotto di pelle. Un look più adatto a un contesto informale che all'austera Camera dei deputati, dove è d'obbligo la giacca.
Ai malcapitati
commessi di Montecitorio è sembrato brutto giudicare unfit l'outfit del vicedirettore Rai, per non essere iscritti anche loro nel libro nero dei "nemici" della libertà di infangare. In cui da ieri c'è anche il povero Manconi.