Cultura e Spettacoli

Hollywood contro Bush pensando al botteghino

Alieni come terroristi, gli zombie come gli iracheni: da «La guerra dei mondi» a «La terra dei morti viventi» caccia alla metafora

Carlo Faricciotti

da Milano

I grandi produttori della vecchia Hollywood lo sapevano bene: «Se volete mandare un messaggio a qualcuno speditegli un telegramma, ma per favore non fate film». Negli ultimi anni, anche questo tabù, almeno in parte, è caduto. O meglio, sono o i registi o i giornalisti che li intervistano a sviscerare le pellicole in esame, in cerca di rimandi ed echi dell’attualità politica e sociale.
Una dozzina d’anni fa, per esempio, era prevalso l’uso di etichettare molti film Usa come «clintoniani» - non nel senso di pornografico ma di prodotto di ispirazione liberal, democratico. Con il cambio della guardia alla Casa Bianca il nuovo gioco è individuare i film «bushisti» e quelli «anti-Bush», anche sull’onda emotiva dell’11 settembre, dell’Iraq e di altri avvenimenti geopolitici mondiali. Con il sospetto che a volte sia il regista-interlocutore a evidenziare gli elementi «politici» nel suo ultimo lavoro, in base alla regola del purché se ne parli.
Per esempio George Lucas, parlando con i giornalisti de La vendetta dei Sith, sesto e ultimo episodio della saga di Guerre Stellari, ha sottolineato come il film non è «influenzato dalla realtà di oggi, non direttamente almeno, ma ci sono riferimenti a molti momenti e personaggi della storia, da Cesare a Napoleone alle dittature moderne, fino alla realtà dell’America. Sono i corsi e i ricorsi storici, i secoli passano ma le psicologie del potere non cambiano. Il tema del film è la rapacità del potere, Darth Vader vuole controllare l’universo, dominare la vita. Ma non si può fare, bisogna accettare le regole del vivere, il sole sorge e tramonta, ogni cosa ha la sua fine».
A parte il tono, a metà tra il filosofico e il risaputo, un po’ come le sceneggiature dei suoi film, il regista di Guerre Stellari si adatta a un filone in voga, negli ultimi tempi, negli articoli che parlano di cinema: la lettura politica, più che critica o di contenuto, dei film. Parlando de La guerra dei mondi Natalia Aspesi, su Repubblica, ha scritto che gli alieni nel film «fanno terra bruciata e la folla terrorizzata si accapiglia, arriva l’esercito con carri armati ed elicotteri e fa subito Iraq, cioè inutile casino, e gli alieni se ne fregano (come i terroristi?)». Insomma, Spielberg «all’anteprima ha spaventato a morte i bambini ed eccitato le signore ormai affascinate soprattutto dal pericolo». Bambini che, nella pellicola, mettono a nudo le paure profonde degli americani: «Sono terroristi?» chiede la bambina a papà Ray (Tom Cruise) parlando degli alieni, mentre il fratello adolescente incalza: «Vengono dall’Europa?».
Sempre in tema di prodotti «catastrofici» (come tematica, non certo come incassi) l’anno scorso Roland Emmerich, in The day after tomorrow-L’alba del giorno dopo, aveva immaginato gli Stati Uniti sommersi dalle acque dei Poli, sciolti dalla non adesione al Trattato di Kyoto sull’ambiente, e i cittadini Usa costretti a chiedere asilo al Messico.
Forse non a caso, cavalcando analisi critiche che in passato vedevano nel prodotto «di genere» un deposito di inquietudini e verità rimosse, sono soprattutto i film horror e di fantascienza a essere visti con la lente d’ingrandimento social-politica: George A. Romero, parlando sull’Unità del suo La terra dei morti viventi (in uscita oggi in Italia), afferma: «Penso agli zombi come una forza esterna. Sono un gruppo rivoluzionario. Vedono le cose in modo diverso. Ho cercato di limitarmi, ma credo rappresentino gli afgani, gli iracheni. C’è quella scena del tank che entra in città e fa una strage. È ovvio. Chi può biasimare queste persone perché non gli andiamo a genio? E poi pensateci: se c’è gente così incazzata con noi occidentali una ragione ci sarà, no?».
Anche un altro maestro dell’horror come il creatore del Freddy Kruger di Nightmare, Wes Craven, a quanto pare si è fatto contagiare dal gusto del (facile) tiro al bersaglio. Sempre l’Unità in un’intervista al regista sul suo ultimo film, il thriller Red Eye (da noi a settembre), chiede «il film è solo un dramma familiare? è ambientato su un aereo, c’è un gruppo terroristico che agisce...». E Craven: «Una base politica c’è, ma io lo considero soprattutto un dramma familiare. Poi ognuno può leggerci quello che vuole».


Già.

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