Gli Hot Chip al Rainbow nuovi eredi di Brian Eno

Luca Testoni

Da che mondo è mondo (e, cioè, dal secolo scorso...), il rock non è tale senza etichette. Pratica disprezzata dagli «artisti», si rivela spesso un'utile, forse inevitabile, ciambella di salvataggio per districarsi in scene e fenomeni in continuo movimento.
Ultimamente, per esempio, va di moda parlare di «neu-rave». Neologismo nato nel Regno Unito, identifica una versione di indie pop-rock declinato con sonorità elettroniche e attitudine danzereccia. Un genere ibrido che sfrutta due correnti di pensiero musicali solo in apparenza antitetiche per ottenere un suono convincente sia per i rocker sia per gli amanti del clubbing spinto. E che tira parecchio.
Chiedetelo agli ospiti di domani sera del Rainbow Club di via Besenzanica 3 (ore 21, ingresso 15 euro), gli Hot Chip. Nonostante un look da supplenti di chimica, il quintetto londinese messo in piedi da Joe Goddard (voce, chitarra), Felix Martin (drum machine, computer, tastiere), Al Doyle (chitarra, voce, tastiere), Owen Clarke (chitarra, tastiere, battiti di mani) e Alexis Taylor (voce, tastiere), magari ancora poco noto dalle nostre parti, figurava nella lista dei «nominati» all'ultimo Mercury Prize Award (gli Oscar della musica britannici). Tutto merito del secondo disco The Warning, realizzato per la newyorkese DFA, un marchio di qualità in materia di contaminazione dance-rock.
«La nostra è musica folk, mixata con musica dance e idealmente prodotta da Brian Eno, Brian Wilson e Brian May», chiariscono gli Hot Chip, lanciati alla grande in patria grazie a due singoli: And I Was A Boy From School, numero danzereccio decisamente fantasioso, contornato di chitarre elettriche, bizzarri suoni da videogame e fraseggi di organo; e Over And Over cavalcata riempi-pista, ironica e dal feeling sbracato, in bilico tra funk, soul e house.


Intanto, la stampa musicale specializzata inglese, da sempre grande sponsor del nuovo che avanza, non nasconde il proprio entusiasmo: «Le canzoni degli Hot Chip prendono forma su un canovaccio che poggia su melodie della tradizione inglese in stile Blur/Beta Band, un uso vivace e con "sale in zucca" di elettronica e groove e le più classiche sonorità pop». Niente male, no?

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