Howe pronto a volare Sfida al feroce Saladino

L’azzurro centra la finale del lungo ai mondiali e oggi cerca una medaglia contro il favorito panamense: «Qui non ci sono fenomeni come Lewis o Powell»

È il giorno in cui mettere le ali. Il giorno in cui il serpente deve avvelenare tutti, tranne se stesso. Tanto per dirla come piace a Andrew Howe. Ieri il nostro figlio del vento ha annusato gli avversari e se stesso. E si è consolato. «Qui non ci sono fenomeni stratosferici, non esiste un Powell o un Carl Lewis». Li ha contati. Ed ha riassunto: «Non ce ne sono più di tre da cui temere». Ed ha elencato: il sudafricano Godfrey Mokoena, che ha messo tutti dietro con un 8,28, Dwight Phillips (8,22), l’americano campione uscente, e Irvin Saladino, il panamense che salta come una libellula e che tutti mettono in testa ai favoriti, anche se ieri doveva avere la molla corta tanto da saltare (m. 8,13) una misura peggiore di quella di Andrew. Ma tre è il numero esatto per non trovar posto sul podio. Occhio!
Andrew Howe ha impiegato due salti per planare all’8,17 che valeva la qualificazione (posta a m. 8,15). Misura realizzata di mattina quando proprio la sveglia è una faticaccia, specie se suona all’alba delle sei. «Mi sono tirato su come una molla», ha raccontato. È volato sotto una doccia gelata e si è preparato alla gara dei nervi, quella che ti corrode finché non trovi la misura liberatoria, che significa qualificazione. Oggi la sveglia sarà più tardi, la gara all’ora del pranzo o della cena, a seconda del fuso (ore 13,40 italiane), ma sulla pedana Andrew dovrà evitare docce gelate. Howe è il personaggio traino della bistrattata atletica italiana che finora è più comprimaria di un qualunque Paese del terzo mondo. Ieri gli azzurri hanno provato a dire: ci siamo! Howe qualificato nel lungo, la Martinez nel triplo al primo salto (m. 14,62), la Weissteiner è entrata nella finale dei 5000 metri donne con l’11° tempo. Ma c’è il tanto per sentirsi cenerentoli, se Howe e magari Schwazer e la Di Martino non daranno un allegro squillo di tromba.
Ieri, fra gli avversari del nostro, si è inserito anche James Beckford, il giamaicano resuscitato dal dimenticatoio, volato a m. 8,22 con un timido venticello a favore. Un altro campanello d’allarme che Howe ha sottovalutato. Testa, occhi e concentrazione suoi sono sulla pedana e forse sul feroce Saladino. «L’ho visto nervoso, magari un po’ appesantito». Sorta di rito woodoo per il pericolo pubblico numero uno. Oggi Andrew si ritrova nella condizione del 2004 a Grosseto, mondiali Juniores: prima vetrina interplanetaria per dare un segnale. «Mi sento un po’ come allora. Magari finisse come quella volta...». Già, anche allora c’era Mokoena tra i piedi ma Andrew se lo mise alle spalle. Il sudafricano è un suo compagno di viaggio da diversi anni. Per ora non è mai riuscito a fargli uno sgambetto vero. Anche ai mondiali indoor di Mosca 2006, Andrew si prese il bronzo, l’altro il quinto posto. Stavolta Howe e Mokoena sono i più giovani fra i dodici finalisti, classe di ferro 1985, Beckford ha dieci anni più di loro, Saladino solo due in più, Phillips sette, il tedesco Reif (4ª misura, proprio davanti ad Andrew) è più vecchio di un anno. C’è da infilarsi nel regno che fu di Lewis, Powell, Pedroso, prima di arrivare a Phillips, campione nelle ultime due edizioni.
Oggi l’Italia aspetta Andrew, figlio di Renée e di un ex calciatore americano, italiano regalato dall’unione con Ugo Besozzi. Italiano vero nel cuore.

«Ma reatino ancor più vero», dice lui con quell’accento romanesco che ne ha fatto un beniamino fra grandi e piccini. Le ultime prove non sono state esaltanti. Ma un serpente con le ali può scalare qualunque podio. L’importante è non ruzzolare.

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