I bimbi dei vicoli scrivono alla città che li ha traditi

I bimbi dei vicoli scrivono alla città che li ha traditi

(...) hanno scritto la lettera, non i loro genitori, tantomeno i loro insegnanti. Sono italiani, cinesi ecuadoriani e altri stranieri, frequentano l’istituto scolastico di via San Giorgio, in una delle zone più degradate laggiù fra via San Bernardo e Canneto, hanno insistito affinché un genitore inviasse senza correggerla la lettera che loro hanno buttato giù e pongono domande scomode, come scomode sanno essere solo le domande dei piccoli: «Perché debbono vincere sempre i prepotenti e i cattivi? Perché il male non proviamo insieme a sconfiggerlo?».
I cattivi sono quei «grandi che si picchiano e s’inseguono con bottiglie rotte, gridando e minacciandosi», e che «a noi ci rivolgono complimenti stupidi che, diretti a bimbe di 10 anni ci fanno credere siano ubriachi, altrimenti non li penserebbero nemmeno». Il male è quel che ne consegue, bambini e ragazzi che fra quei vicoli vietati alle auto potrebbero scorrazzare spensierati e invece «tutti i giorni i nostri genitori ci vietano di uscire per andare a giocare o anche per recarsi in casa di un’amica a fare i compiti, frenati dal fatto che per le nostre strade succede di tutto giornalmente», là dove, scrivono le bambine, «molte di noi sono state avvicinate e molestate, e tutto questo ha convinto i nostri genitori a blindarci in casa».
E allora eccola, l’altra domanda ai genitori di tutta Genova, sindaco, prefetto e questore in testa: «È giusto tutto questo? Voi da piccoli avete potuto giocare fuori una o due ore al giorno, a noi ci obbligate a stare a casa (e poi vi lamentate se passiamo le ore davanti ai video-giochi). Vorremmo anche noi poter godere della libertà che altri bimbi hanno per diritto». A parole tutti li sostengono, gli abitanti del centro storico, i fatti sono tutta un’altra cosa: «Tempo addietro siamo stati con la scuola in Questura ed abbiamo avuto modo di conoscere ed apprezzare il ruolo della Polizia, ci avevano assicurato che erano nostri amici e che nel momento del bisogno loro sarebbero stati presenti. Ebbene noi i nostri amici li vorremmo veramente vedere, perché così nessuno potrebbe fare il prepotente con delle bambine e costringerci in casa». Il timore, aggiugono questi ragazzi fra i 10 e i 13 anni, è che le loro famiglie decidano di portarli a vivere altrove. E infatti chiedono ancora «perché dobbiamo vivere con l’incubo che i nostri genitori cambino casa e quartiere come più volte minacciato? Perché dobbiamo perdere le nostre amicizie?».
In calce alla lettera la domanda più scomoda: «Noi ci siamo, voi ci date una mano?».

Quando a porla erano stati gli adulti, la risposta era stata ovvia: «Ma sì, certo, noi ci siamo». Ma le promesse che si fanno ai bambini, sarebbe bene mantenerle. E allora dicano il sindaco, il questore, il prefetto e tutti i genitori che cosa davvero pensano di fare, ma solo se qualcosa vogliono fare davvero.

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