I cinesi ormai copiano tutto perfino un’intera fabbrica

Un giostraio ha trovato i suoi prodotti e le foto di famiglia su un dépliant

Gianandrea Zagato

da Milano
Se non vedi le copie non puoi capire. Indistinguibili. Uguali in ogni dettaglio, anche nelle sfumature. Impresa impossibile indicare il vero e il falso: sono uguali anche all’occhio esperto del creatore, quello autentico. Che, naturalmente, dà i numeri e non si rassegna alla concorreanza sleale di quella fabbrica del pianeta che è la Cina: centinaia di milioni di dipendenti che ogni mattina si alzano, si mettono in moto e clonano di tutto e di più. Clonano persino intere fabbriche.
È successo a Fabio Boni della Fasep di Borgo San Lorenzo (Firenze) ovvero il numero uno italiano degli strumenti per l’equilibratura e l’assetto delle gomme. Macchine per gommisti made in Toscana copiate pari pari in Cina e vendute a metà prezzo. «Lo scopro quando un mio importatore pakistano mi dice di aver visitato il “nostro stabilimento cinese”. Impossibile, replico, non abbiamo mai avuto una fabbrica in Cina. Insiste, “l’ho vista”. Ue’, l’hanno davvero riprodotta: macchine, colore e marchio». Unica differenza fra il prodotto italiano e quello del “cugino” orientale è l’inversione di due lettere nel marchio: l’italiana Fasep diventa la cinesissima Pasef, «ma, attenzione, lo si distingue solo a un esame più che attento, anche perché i caratteri del logo sono identici». E, addirittura, on line si scopre che il sito cinese ha lo stesso indirizzo di quello dell’azienda italiana di Borgo San Lorenzo se non fosse per l’aggiunta di un “cn” finale. «A guardarle bene, ma proprio bene, qualcosa di diverso c’è tra l’originale e la copie cinese: una guarnizione in meno, una rifinitura di troppo e una vite in più». Dettagli, ma poi è tutto, proprio tutto uguale. Escluso, naturalmente, il prezzo. Il risultato? Un fatturato in calo di un milione e mezzo di euro: «Scherzetto giocato vantando la nostra esperienza e la nostra storia. Con l’aggiunta dell’amaro in bocca quando alla Fiera di Francoforte trovo esposta una mia macchina. Solo che non era uscita dal mio stabilimento di Borgo San Lorenzo».
Rabbia e sconcerto che accomuna l’azienda toscana ai primari marchi italiani del valvolame: Rastelli, Bugatti, Giacomini e Cimberio. Che, sorpresa, negli stands della Fiera Expocomfort, uno dei maggiori appuntamenti mondiali del settore bagno e condizionamento, hanno scoperto non solo di essere cannibalizzati ma che nella stessa fiera, gomito a gomito, ditte dello Zhejiang offrivano la disponibilità a produrre, su richiesta, quantitativi di prodotti contraffatti a piacere apponendovi persino le griffe delle loro aziende.
Fenomeno che è l’incubo pure di Alberto Zamperla da Altavilla (Vicenza). È il «re delle giostre» made in Italy: «Su una brochure made in China ho visto riprodotte le foto delle mie giostre. Ne sono certissimo perché sulle foto che riproducevano i miei prodotti c’erano anche i miei figli».
Storie di impunità post-maoiste, come quella che ha costretto l’Atlas di Limena a depositare il marchio in Cina e progettare una joint-venture con un imprenditore locale. Scelta obbligata di cessione del marchio per il Far East preso dall’azienda produttrice di filtri per impianti acqua dopo che alla Fiera di Canton era stato ritrovato un pezzo identico, perfettamente identico a quello fabbricato a Limena. «Anche la scritta sull’imballaggio sosteneva che era made in Italy e, addirittura dava l’indirizzo di Limena». Particolare non insignificante, costava la metà. Ma, attenzione, non vuol dire che la copia è di bassa qualità. L’imitazione è sempre di buon livello, dalle saldatrici alle vasche idromassaggio passando per i rubinetti che, ovviamente, riportano il marchietto (Ce) dell’Unione europa ma significa China Export.
Falsi che, nel comparto della rubinetteria, provocano non pochi problemi ai produttori di casa nostra. «Si vive con l’avvocato sempre a portata di mano», chiosa Renzo Cimberio, con duecento e passa dipendenti e centomila pezzi al giorno tra valvole e sistemi integrati. Chiamato in causa per una valvola per il gas difettosa, apparentemente prodotta dalla sua azienda, che aveva provocato gravi ustioni alle mani di un operaio: valvola che, ovviamente, era un falso «con tanto di problemi di funzionalità e di inquinamento». I cinesi copiano bene ma «mentre la nostra lega d’ottone contiene meno del due per cento di piombo, i loro manufatti viaggiano verso il sei per cento e il piombo, quando è troppo, viene rilasciato nell’acqua». Cura per i particolari che ha spinto Bruno Segala, ex operaio vicentino, titolare della Helvi di Sandrigo a togliere le novità da internet: «Non facevo in tempo a metterle che, oplà, finivano nelle produzioni cinesi».

Scelta estrema che mette il dito nella piaga: i cinesi sono svegli, imparano alla svelta e copiano persino il software di aziende tecnologicamente avanzate come quello delle bresciane Camozzi e Lonati, due marchi storici nel settore delle macchine utensili per l’industria tessile. Software che, per la cronaca, è venduto a metà prezzo.
gianandrea.zagato@ilgiornale.it

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