La vittoria? Macché, il 4 novembre lItalia farà «la celebrazione di un massacro». Parola di Comunisti. Comunisti per i Lavoratori, ad essere precisi. Quelli che esistono ancora e che si vergognano più per i compagni che portano falce e martello al governo che per certi concetti sepolti dalla storia e dallumanità. Concetti che spingono i comunisti ad attaccare il «neocolonialismo del XXI secolo» alla cui nascita lItalia di Prodi e Bertinotti partecipa attivamente «con linvio di truppe, carri armati, aerei, navi da guerra in ogni parte del mondo».
Un comunicato del neonato partito di Marco Ferrando punta dritto a una delle poche feste nazionali che finora non è riuscita a dividere lItalia e gli italiani. Magari il centrosinistra non parteciperà con grande slancio alle celebrazioni per il 4 novembre, ma la ricorrenza della vittoria nella Grande Guerra viene attesa da tutte le forze con certo minori polemiche rispetto a quanto avviene ogni anno per il 25 aprile.
Eppure i Comunisti per i Lavoratori scelgono di mettere nel loro mirino proprio «il rilancio culturale e sociale del nazionalismo, con tutto il suo repertorio di retorica patriottica». Provano a riscrivere la storia. E lo fanno spiegando che «alla vigilia della Grande Guerra tutti i governi imperialisti del mondo preparavano piani di invasione e di colonizzazione di nuovi territori, da assogettare e sfruttare per allargare i propri mercati e i profitti delle classi dominanti: gli stessi imperialisti italiani volevano, oltre a Trento e Trieste, lAlbania e aspiravano a partecipare alla spartizione della Turchia e a un allargamento dei domini coloniali in Africa».
I Comunisti partono da Rapallo, per denunciare «la grande enfasi del commissario prefettizio» nel preannunciare le celebrazioni per il 4 novembre, ma guardano storto anche «gran parte delle amministrazioni pubbliche italiane». Colpevoli di voler «festeggiare quella che non è stata una vittoria dellItalia, ma una grande sconfitta per tutta lumanità, un orrendo massacro di proletari mandati al fronte a morire dai loro governi».
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