I democratici che giustificano la violenza rossa

I democratici che giustificano la violenza rossa

(...) E pazienza se i poliziotti della «Uil penitenziaria» sottolineano come solo grazie alla professionalità degli agenti di Marassi si è evitato che la manifestazione degenerasse in una violenta rivolta interna al carcere. Persino il Sappe, il sindacato autonomo, smorza i toni, spiegando che anche l’incendio di cartacce appiccato dai detenuti, rientra nella normale routine. Tutto bello, tutto edificante, dunque.
Così come la Liguria, sempre pronta a sostenere chi impedisce persino i banchetti per la raccolta firme dei «nemici fascisti», non ha detto mezza parola per quanto accaduto a Carasco la settimana scorsa. In occasione del raduno degli alpini, una tradizionale festa per tutti, sono comparsi sui muri del paese manifesti con scritte vergognose. «Una faccia da fiumi di vino, un cappello da lago di sangue», era lo slogan che accompagnava il viso sorridente di un alpino in congedo. Accanto al cappello con la penna nera era invece scritto: «Sul cappello che noi portiamo... una scia di sangue lunga da Genova al Mediorente». Al di là dell’immediata indignazione del sindaco Laura Remezzano, silenzio assoluto. Facile, facilissimo immaginare per quanto sarebbero andate avanti le litanie istituzionali in caso di manifesti dai contenuti ugualmente vergognosi, ma di concetto e «firma» opposti.
La «pacificazione» tanto invocata, resta insomma una questione a senso unico. Il professor Paolo Armaroli, costituzionalista e docente all’Università di Genova, fa una sua proposta per superare gli steccati che da sinistra continuano ad essere alzati in occasione del 25 aprile. «Perché la festa della liberazione sia davvero condivisa come autorevolmente auspicato occorre darle un’interpretazione più ampia - spiega Armaroli - Bisogna vedere il 25 aprile 1945 collegato al 18 aprile 1948, cioè il giorno della grande vittoria di De Gasperi e dei partiti della democrazia laica contro i socialcomunisti». Una liberazione totale, dal fascismo, ma anche dall’incubo del comunismo. Cosa difficile da accettare da chi continua a fingere che la dittatura sia di un colore solo. «Sì, occorre rivendicare la liberazione da tutti i tiranni - incalza il costituzionalista - perché la vera democrazia sia un valore di tutti. In questo senso i nostri costituenti, e non gliene faccio una colpa, hanno voluto demonizzare solo il tiranno morto, ma hanno sorvolato sul tiranno vivo, che era ed è tuttora quello comunista».


Immaginare un 25 aprile senza le bandiere rosse con falce e martello che simboleggiano proprio la tirannia comunista sembra tuttora un’utopia. Non solo a Genova, ma soprattutto a Genova, città dei diritti di una sola parte.

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