I due Venezuela allo scontro finale: ma Maduro spara E la gente muore

La crisi del regime va di pari passo con quella disastrosa dell'economia del Paese con le maggiori riserve di petrolio al mondo E il capo del chavismo ricorre alla violenza

Paolo Manzo

da Caracas

Ángel O. è un comunista «per vocazione ereditaria come lui stesso racconta a Il Giornale - perché comunista era mio padre che mi ha insegnato i valori dell'uguaglianza». Occhiali alla Gramsci, carnagione bianca, istruzione superiore, famiglia contadina, lui vive a Barquisimeto, la capitale dello stato Lara, uno dei più martoriati dalla repressione delle milizie di Nicolás Maduro, dove nei giorni scorsi sono state uccise due delle dieci vittime sinora confermate della repressione del regime da inizio aprile.

Angel gira su una scassatissima Ford Fiesta rossa e non si è arricchito con la rivoluzione anche se ha visto molti farlo. Non ha però dubbi sul fatto che Chávez sia «stato un grande presidente», uno che «da solo ha fatto più lui per i poveri di tutti gli altri presidenti della storia del Venezuela». Del disastro umanitario che ha messo in ginocchio il suo Paese dove manca tutto, dal pane ai farmaci, oltre alla sicurezza, fisica e giuridica - accusa gli speculatori e l'opposizione perché, a suo dire, «se la rivoluzione non funziona è per i molti ladri e i troppi fascisti che remano contro». Le responsabilità del regime le minimizza e, come lui, sono in tanti a pensarla oggi in Venezuela, almeno il 25% stando ai sondaggi.

Yadira S. è un'attivista di Caracas che difende «i diritti dei carcerati lei stessa è finita dentro, per droga ma soprattutto i diritti di tutti i venezuelani stufi di vederseli calpestati ogni giorno». La pettinatura e la carnagione sono quelle di Bob Marley, anche se s'intravede qualche capello bianco. Famiglia povera e terza media alle spalle, è militante di Voluntad Popular, il partito di Leopoldo López, in carcere dal 18 febbraio 2014 perché «per la dittatura di Maduro è un terrorista - come chiunque gli si opponga viste le centinaia di prigionieri politici dietro le sbarre senza motivo mentre in realtà è il nostro Nelson Mandela e quando uscirà sarà eletto presidente di un Venezuela finalmente libero». Ride quando le parliamo di golpe dell'Impero come va ripetendo il regime da settimane - e, negli ultimi due giorni, è in piazza a marciare «nonostante i pericoli. Prego Dio perché mi protegga dai collettivi chavisti assassini, che seminano la morte in moto».

Yadira ha conosciuto le violenze del carcere dove dominano i pran, così si chiamano in Venezuela i boss che gestiscono le prigioni con il placet del regime, e dietro le sbarre «i soli a far qualcosa erano i volontari di Voluntad Popular spiega a Il Giornale insieme ai motivi che la porteranno anche oggi a marciare a suo rischio e pericolo . Lo faccio per la libertà, la pace, la democrazia, perché ci consentano di andare a votare, per combattere la fame, l'insicurezza e la corruzione che il narco-regime di Maduro ci ha portato».

Angel insegna ai bambini che lavorano al mercato di Barquisimeto perché è un educatore del NATs locale, l'associazione dei minori sindacalizzati che «chiedono di essere rispettati come gli adulti quando sono costretti ad alzarsi alle 4 del mattino per andare a scaricare le cassette di frutta e verdura». Lui è certo che in Venezuela ci sia ancora una «democrazia» e che i morti in strada siano «quasi tutti causati da guarimberos» - così il regime di Maduro definisce chi blocca le strade per protestare contro corruzione, fame e mancanza di libertà - e che, contro il suo Paese, sia in atto «un golpe, grazie alla longa manus della Cia». Angel non ha prove, non ha mai ucciso neanche una mosca ma, per difendere la revolución bolivariana, sarebbe forse disposto a farlo, e a morire.

Anche Yadira non farebbe del male a nessuno ma per uscire dall'incubo di un ventennio bolivariano, anzi «fascista» come lo definisce lei, fatto di umiliazioni quotidiane - «se non sei del partito non ti danno cibo né ti fanno lavorare» - sarebbe disposta a fare qualsiasi cosa. Tutto meno che uccidere perché da quando è uscita dal carcere ha «promesso a Dio di combattere per la giustizia solo con la mia forza interiore e l'attivismo politico».

Angel e Yadira - i cui cognomi ho deciso di non pubblicare perché nel caso sempre più probabile che la situazione in Venezuela precipiti potrebbero subirne conseguenze dolorose - credono in ciò che fanno senza guadagnarci nulla ma, nella follia del Venezuela di oggi, presto potrebbero trovarsi sul lato opposto di una barricata che, ogni giorno che passa, è sempre più insanguinata.

Anche «la madre di tutte le marce» indetta dall'opposizione nei giorni scorsi è stata repressa nel sangue dalla follia militare di Maduro. Morti nella capitale un giovane studente salesiano di 19 anni, la cui unica colpa è stata quella di uscire per andare a giocare a calcio con gli amici, una studentessa 23enne del Tachira, lo stato più «tosto» nell'opporsi alla dittatura madurista - una sorta di Striscia di Gaza per il chavismo, dove i giovani rispondono alle pistolettate delle milizie con le pietre - e un poliziotto.

La proteste continuano e la situazione peggiora visto che il braccio destro di Maduro, Diosdato Cabello, ha invitato a uscire «i 60mila collettivi in moto, per far vedere in strada chi comanderà qui per i prossimi 100 anni». Sono loro, armati sino ai denti, i responsabili di quasi tutti gli omicidi che hanno insanguinato le manifestazioni indette dall'opposizione negli ultimi anni.

«La situazione è insostenibile perché a causa della fame e delle malattie il popolo è esasperato e non gli resta che manifestare in strada il proprio scontento verso un regime che ogni giorno che passa non fa che peggiorare le cose», spiega Miguel Ángel Otero, direttore del quotidiano venezuelano El Nacional, uno dei pochi non soggiogati dalla censura e dai ricatti economici del chavismo. «L'unica certezza continua Otero - è che questa narco-dittatura è arrivata agli sgoccioli ma rimane impossibile dire come sarà la transizione per ricostruire questo Venezuela oramai distrutto». Forse con una rivolta all'interno dello stesso regime, forse con la pressione popolare che indurrà alla fuga in aereo gli attuali leader verso l'Avana o, forse, il cambio avverrà con elezioni, più o meno libere. Da non escludere, visto l'attuale disastro, una sollevazione di parte delle forze armate.

Sono molte le voci raccolte da Il Giornale ma al momento l'unica certezza è che un cambiamento è inevitabile perché senza pane e con un'inflazione che rasenta ormai il 1000%, quasi tutto el pueblo del Venezuela è esasperato dal militarismo folle di Maduro el loco, il pazzo. Un presidente sempre più irresponsabile se è vero che, nei giorni scorsi, ha promesso di distribuire mezzo milione di fucili a milizie chaviste formate da vecchi, ragazzini e donne. La speranza è che, come quasi tutte le sue promesse, anche questa non venga mantenuta ma una cosa è certa ai più: il Venezuela di oggi è una polveriera e se è vero che tanti chavisti e anti-chavisti sono come Angel e Yadira, ovvero persone per bene e tante ne ho conosciute nei numerosi viaggi a Caracas e dintorni la polarizzazione in cui Maduro ha trascinato il Paese è de terror, fa paura, e purtroppo è capace di trasformare anche gli agnelli in lupi feroci.

Il disastro iniziato con la prima presidenza di Chávez, nell'ormai lontano 1999, si è dunque trasformato in dittatura violenta a fine marzo scorso, quand'è stato inibito dai pubblici poteri sino al 2032 Henrique Capriles - l'unico leader dell'opposizione mai colpito prima dalla «giustizia» chavista - e, soprattutto, quando è stato chiuso con sentenze liberticide dalla Corte Suprema l'ultimo baluardo democratico, ovvero quel Parlamento sfuggito dal controllo chavista dopo il voto del 2015. Risultato? Oggi a Caracas chi la pensa in modo diverso dal regime viene aggredito o arrestato dagli sgherri di Maduro. Lo sanno bene i venezuelani sui quali oltre a manganelli e gas lacrimogeni da giorni i collettivi hanno iniziato a sparare, nell'impunità più assoluta, provocando sinora una decina di morti.

Un'escalation di violenza che ha indotto Mercosur e Organizzazione degli Stati americani - le due principali organizzazioni regionali - ad attivare le procedure per espellere Caracas, e Trump - sinora muto di fronte alle violenze del regime - a condannare la repressione ordinata da Maduro. Il minimo sindacale dopo che la stampa Usa ha rivelato un finanziamento del chavismo da mezzo milione di dollari alla sua campagna elettorale.

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