Sei su dieci si innamorano in vacanza, e tre su quattro dopo due mesi piangono. Ne sa qualcosa lo psicoanalista che li aveva lasciati e metà giugno quasi in forma, e se li ritrova a pezzi a fine agosto. Però se la sono cercata.
L’analista li aveva avvisati. Perché è noto da sempre che nelle cinque settimane più calde dell’anno bisognerebbe muoversi il meno possibile, e non prendere nessuna nuova iniziativa. Soprattutto in amore. Perché? Ma perché «il caldo dà alla testa» come sanno perfettamente i proverbi popolari, e anche la storia della medicina che ne ha dato spiegazioni dettagliate.
Fermi, e possibilmente un po’ al fresco: è il consiglio della scienza, della filosofia e delle religioni (tutte) giustamente preoccupate dal «demone meridiano» che fa dare di matto. E invece la gente che fa? Va dappertutto, e possibilmente più al caldo possibile. Giunti a destinazione (ammesso che non corrano giulivi da un meridiano all’altro, slalomando tra i crac dei tour operator), invece di acquattarsi nel posto più ombroso e fresco facendosi portare del tè alla menta (come i viaggiatori avvertiti di un tempo), questi si scolano alcune Caipirinha per stordire i superstiti freni inibitori, e corrono svelti sotto il solleone per adocchiare le prede serali. Il resto è tutto già scritto sia nei trattati di psicopatologia, che nelle cronache non proprio rosa, che infine nelle rubriche di posta più rinomate. Non manca nulla: lo scoppio dell’«amour fou»; la delusione spietata al ritorno, quando lei, che non risponde al cellulare, manderà sms del tipo: «Finalmente ho ritrovato me stessa: addio»); il senso di spaesamento dello sfortunato; il capo che ti guarda storto e tu che ti accorgi che hai la cravatta completamente di traverso, tipo cappio dell'impiccato; la tentazione di continuare con happy hour caraibici in città, i conseguenti mal di testa feroci; infine l’sms di soccorso al terapeuta: «Potrebbe vedermi una settimana prima»?
Sgombriamo dal campo i ragazzini, che vivono in fisiologico eccesso permanente di energie, e che per questo d'estate, da sempre non rinunciano a nulla, imparando così (se va bene) a sopravvivere alle proprie forze, ed anche stare al mondo in qualche modo. Ma gli altri, gli adulti, gli over 30 e 40 che sono al centro di questo sondaggio, come mai si comportano in modo così dissennato? E che dire degli altri (che pure compaiono in queste spietate statistiche), i più grandi ancora, i divorziati ora single, già sfrantumati da matrimoni andati a male, dove trovano l'energia residua per farsi ulteriormente altro male, anziché aspettare al fresco che l’astro incandescente ritorni a una distanza di sicurezza prima di impegnarsi in qualsiasi iniziativa più rischiosa che un cinema all’aperto? Una risposta è: la solitudine. Condizione che ti insegna praticamente tutto, se solo la ascolti, ma anche niente, se la vedi come la traversata di un lungo deserto, alla fine del quale (a ferragosto - figuriamoci), ti aspetta una fagianella tutta per te. È anche per via di questa visione ostinatamente divorante-predatoria che gli sfortunati, tornati e subito abbandonati, cadono spesso in disturbi alimentari poco piacevoli (dai quali peraltro molte delle loro partner dell’estate non erano neppure mai uscite). Insomma, smontare la famiglia è stato (dal punto di vista legislativo e del costume), un gioco da ragazzi: in meno di vent’anni, oplà, la famiglia non c’è più.
Dopo, però, quello straordinario teatro di compensazioni tra affetti e delusioni, costruzioni e puntellamenti, colpi di testa e rientri all’ordine, rappresentato per secoli appunto dalla famiglia, non è semplicissimo da ricostruire. E senza questa cornice, tenuta insieme da un collaudato sapere, uomini e donne scivolano sui loro rispettivi, pericolosi, umani, pendii.
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