Economia

I giorni della verità per Ligresti tra banche e francesi

«Ma Ligresti, nella sua vita, ha messo su più mattoni o più debiti?», si chiede un operatore di Borsa commentando i due giorni della verità che attendono il gruppo creato dal costruttore-finanziere: oggi e domani assemblee e consigli di amministrazione della capogruppo Premafin e del gioiello di famiglia, la FonSai, convocati per varare aumenti di capitale, rispettivamente, fino a 250 e 460 milioni. Senza questi mezzi freschi l’intera baracca rischia di non reggere: la compagnia di assicurazioni chiude i suoi conti con un rosso che sfiora i 500 milioni per il 2010. Risultato da brividi che ha portato anche all’uscita dell’amministratore delegato, Fausto Marchionni, nel gruppo da 40 anni e fedelissimo della proprietà.
Per rispondere si può dire che di mattoni ne ha messi su davvero tanti, innumerevoli, costruendo palazzi, interi quartieri soprattutto negli anni d’oro della Milano da bere quando era l’incontrastato re della città. Ma anche con i debiti non ha mai osservato una dieta rigida: oggi l’intera catena societaria, dalle casseforti fin giù alle quotate, ne è gravata per una cifra stimata attorno ai 2,2 miliardi.
Un’enormità. Che le banche, soprattutto le più esposte Mediobanca e Unicredit, vorrebbero recuperare. Per questo Ligresti ha congegnato l’operazione Groupama di cui si parla da tempo: i francesi diventerebbero azionisti di Premafin sottoscrivendo l’aumento di capitale e permettendole di partecipare, a sua volta, alla ricapitalizzazione FonSai. Ma l’operazione è in attesa del via libera Consob: se questa facesse scattare l’obbligo di un’opa, Groupama si ritirerebbe. E allora l’Ingegnere dovrebbe convincere le banche a trasformare i loro crediti (almeno in parte) in azioni. Oppure decidersi a vendere, a privarsi di gran parte di quanto ha creato in 50 anni. Si vedrà.
A questo punto il mercato si pone due domande. La prima: che cosa sarà di Ligresti, per decenni protagonista del potere finanziario italiano, alla fine di questo processo di riassetto, qualunque soluzione prevalga? La seconda: come è arrivato ad accumulare una simile mole di debiti che lo sta soffocando?
L’Ingegnere di Paternò, 79 anni il prossimo marzo, non sarà più l’uomo solo al comando che è sempre stato. Se arriveranno i francesi, anche se in temporanea posizione minoritaria, giorno dopo giorno inevitabilmente dovrà far loro spazio sul ponte di comando. Spazio che le banche occuperanno di prepotenza dovesse invece affermarsi l’ipotesi di conversione dei crediti. Spazio, infine, dal quale sparirebbe in caso di vendita globale.
Comunque, l’ingegnere resterà un uomo molto ricco, senza più debiti (o con pochi), ma con un peso specifico sul sistema ridotto o addirittura azzerato. Un segnale di questo indebolimento c’è già stato: pur essendo nel patto di sindacato che controlla il Corriere della Sera, nell’ultimo rinnovo non ha ottenuto un rappresentante nel consiglio di amministrazione del quotidiano, vera stanza dei bottoni dell’intera case editrice (i signori del salotto sono svelti a capire che aria tira).
All’altra domanda si può rispondere che il forte indebitamento è una costante della carriera imprenditoriale di Ligresti e in 20 anni questa è la terza volta che il sistema bancario deve salvarlo. La prima volta è stata alla fine degli anni 80. Ligresti costruiva senza sosta e comprava partecipazioni finanziarie di minoranza per entrare tra i vip. Il tutto a debito. Nel 1989 il meccanismo si è inceppato e Mediobanca, guidata da Enrico Cuccia, ha confezionato la quotazione di Premafin a prezzi siderali. La seconda volta dopo Tangentopoli, l’arresto e la condanna, ancora Mediobanca lo ha affiancato nella vendita di alcuni pezzi pregiati per far cassa. La terza volta è quella che sta vivendo oggi, ma ha radici lontane. Nel 2002 sempre Mediobanca lo ha convinto a comprare la Fondiaria per sottrarla alle mire della Fiat. Lui ha accettato con entusiasmo: l’ha fusa con la sua Sai, è diventato un protagonista di primo piano del potere finanziario. Ma si è indebitato come si è detto. La crisi finanziaria e quella immobiliare (quest’ultimo rimane pur sempre il suo mestiere preferito) non hanno fatto che aggravare il quadro.

E si è arrivati ai due giorni delle verità.

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