I giudici: «Mailat aveva complici»

I giudici: «Mailat aveva complici»

Più che la motivazione di una sentenza, quello dei giudici della Corte d’Assise d’appello è un atto d’accusa durissimo contro i colleghi che in primo grado condannarono a 29 anni di carcere Romulus Nicolae Mailat, il romeno che la sera del 30 ottobre 2007, alla stazione di Tor di Quinto, aggredì, rapinò e violentò Giovanna Reggiani. La donna morì in ospedale dopo due giorni di agonia. Il suo assassino, grazie alla concessione delle attenuanti, se la cavò con una condanna mite che fece molto scalpore e che in secondo grado venne tramutata in ergastolo.
Nel spiegare perché quella sentenza andava riformata, il presidente della Corte d’Assise d’appello Antonio Cappiello critica i giudici che per primi hanno valutato la posizione del romeno e indirettamente chi ha condotto le indagini senza i necessari approfondimenti: per i giudici d’appello, infatti, è probabile che Mailat non abbia agito da solo. Per questo gli atti, come già noto, sono stati inviati alla Procura affinché disponga gli accertamenti mirati all’identificazione dei complici. Agli atti del processo c’è la testimonianza di un connazionale di Mailat, Nicolai Clopotar, che riferì alle autorità romene di aver saputo dal suocero dell’imputato della presenza di altre due persone sul luogo dell’aggressione. Clopotar, però, non fu mai sentito in dibattimento perché risultò irrintracciabile. Un punto, quello delle indagini lacunose, su cui Cappiello insiste parecchio. «Mailat - si legge nelle motivazioni - è stato rinviato a giudizio senza che venissero sentiti Dorin Obeda (il suocero) e Nicolae Cloptar, che si sono rivelati testi di fondamentale importanza».
I giudici d’appello sono durissimi quando entrano nel merito della decisione di primo grado. Non condividono soprattutto la decisione di considerare un’attenuante la «fiera resistenza» opposta dalla vittima al suo carnefice nel vano tentativo di scampare all’aggressione. «La difesa è sempre pienamente legittima - scrivono - tanto che il legislatore ha previsto una un’apposita esimente proprio in caso di resistenza, anche violenta, anche armata, per opporsi ad una violenza ingiusta. Non si comprende il motivo per cui, nel caso di specie, la resistenza della vittima possa costituire un’attenuante per l’aggressore facendone scaturire l’omicidio. Mailat poteva benissimo desistere senza continuare ad usare quella disumana violenza contro la signora Reggiani, seviziandola crudelmente».

Per il presidente Cappiello, inoltre, il giudice di primo grado è «incoerente» perché mentre sostiene «la scelleratezza e l’odiosità del fatto commesso in danno di una donna inerme e da un certo momento in poi esanime, dall’altro ritiene che l’omicidio sia stato del tutto occasionale perché causato dallo stato di ubriachezza e dalla fiera (!) resistenza della vittima». «Come se commettere un reato in stato di ubriachezza volontaria - conclude - costituisse una neccessaria diminuente».

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