I grandi leader politici sono da sempre un po’ sciupafemmine

Caro Granzotto, grazie della gentile e, comme d’habitude, brillante risposta. «I Savoia non terminano mai una guerra sotto la stessa bandiera»; credo fosse dovuto ai loro strategici domini posizionati sui punti di passaggio più importanti dell’epoca. Del resto, mi pare che il regno di Spagna non fu certo rispettoso dei patti. Fu infedele con le donne; anche un altro personaggio quale Enrico IV di Navarra era très doué e sempre in corsa da un castello all’altro dove incontrava le sue belle dame. Si dice emanasse addirittura un acre odore. La mia ottocentesca zia Bice inorridì quando apprese di una moglie che sparò al marito perché infedele da tempo con ben tre donne: «Esagerata, uccidere un uomo che ne faceva felici tre e quattro con lei». Forse un tempo era una qualità, e visto che ciò li rendeva anche molto attivi e capaci, probabilmente ci vorrebbe ancor oggi quell’odore acre! Grazie ancora, continuerò a leggerla con interesse.
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Ma grazie a lei, gentile lettrice. Sa, se dovessimo inventariare tutte le scappatelle dei giganti della storia ci vorrebbero più pagine di quelle che compongono i centoni di Umberto Eco. Però è vero e comprovato: i protagonisti dell’avventura umana che hanno lasciato una forte impronta nel libro della Storia erano tutti attivissimi sciupafemmine (e anche sciupamaschi, se è per questo. Un grande Savoia, forse il più grande, Eugenio, figlio per altro di una mazarinette, una delle sette nipotine del cardinal Mazarino che sfarfalleggiarono, generose di sé e delle proprie grazie, alla corte del Re Sole, era, appunto, uno sciupamaschi). Perfino Carlo V che pure amministrava un regno senza pace e sul quale non tramontava mai il sole, trovava il tempo per cornificare la consorte, Isabella d’Aviz. E anche quello per innamorarsi, come gli capitò con Barbara Blomberg, fulva ragazzona fiamminga incrociata a Ratisbona. Che non fosse una fugace avventura lo dimostra il fatto che diversamente dai tanti figli illegittimi che l’imperatore lasciava sul campo, a quello avuto con Barbara il futuro don Giovanni d’Austria riconobbe il rango di Gran Bastardo e il titolo di infante. Non certo del calibro di un Carlo V, ma pur sempre il padre della Patria, Vittorio Emanuele II di «fumne», di donne, ne ebbe a bizzeffe. Racconta Carlo Dossi che «a volte di notte, svegliavasi di soprasalto, chiamava l’ajutante di servizio, gridando “una fumna, una fumna!” - e l’ajutante dovea girare i casini della città finché ne avesse una trovata, fresca abbastanza per essere presentata a Sua Maestà. La tassa era di Lire 100». Un pomeriggio, poi - altro che bunga bunga - fece urgentemente pervenire al naturalista Filippo de Filippi un biglietto così concepito: «Vi prego di mandarmi entro sera nel mio boudoir un leone impagliato». Ovviamente fu accontentato, era il Re, ma si poté solo fantasticare sul ruolo ch’ebbe poi il leone nel corso del regale scapricciamento.
Per dirla con sua zia Bice, uomini che seppero far felici stuoli di donne seppero anche far cose memorabili: Filippo II, che non tradì nessuna delle quattro mogli che gli vennero per successive vedovanze, al suo attivo può solo vantare una memorabile sconfitta, quella della sua non propriamente Invincibile Armada per mano di Elisabetta I (Regina Vergine sì, ma sois-disant). È che manca il tempo e lo spazio, gentile lettrice, ma potremmo continuare per un pezzo a discorrere di memorabili e très doués amanti della vita e delle donne, per dirla stavolta con il nostro pimpante Cavaliere. Un altro che entra a pieno diritto nel novero di coloro che zia Bice avrebbe detto dei meritevoli.

E che tanta stizza arreca invece a coloro che vanno in bianco e che dunque, per la solita storia della volpe e l’uva, sostengono che certe cose non sta bene farle, che addirittura disattendono il bon ton democratico. Ridicoli.

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