I liberali, il Pdl e il troppo aceto nell’insalata di Fini

I liberali, il Pdl e il troppo aceto nell’insalata di Fini

Sarò ingenuo, ma io credo al Berlusconi che ha detto (Giornale 10/09/09 pag. 8), riferendosi alla presa di posizione di Fini: «Rispetto le sue idee e sarei il primo a difendere le sue opinioni (Voltaire)» ed ancora: «non è detto che nel Pdl tutti debbano avere identiche vedute». Concordo pienamente.
Forse, essere stato ed essere liberale mi aiuta a ritenere essenziale, specie in un partito composito come il Pdl, che in essa sia, non solo ammessa, ma stimolata, quella dialettica che consente di confrontare i diversi punti di vista per scegliere e rendere politicamente vincolanti quelli che la maggioranza riterrà più validi ed impegnativi. Partendo da queste premesse, non mi iscrivo al «dibattito ornitologico» tra falchi e colombe.
Ritengo, perciò, di poter condividere le opinioni su cui concordo, anche se minoritarie, rispetto ad altre che non condivido, senza essere considerato un infedele.
Del resto, questa mia attitudine ad essere chiaro ed esplicito fa parte del mio Dna politico; è nota, anche se spesso non apprezzata. Pazienza!
Certo che chi, come me, ha concorso alla nascita, prima di Forza Italia e poi alla fase costituente del Pdl, ha la pretesa di richiedere che la pletora dei «plauditores», e di chi senza essere un carabiniere, è «uso ad obbedir tacendo», rispetti almeno il «coraggio» di chi non si sente «allineato e coperto».
Del resto è Berlusconi che risponde a Fini affermando «non siamo una caserma ma un movimento liberale di massa in cui tutti hanno diritto di esprimersi, di far conoscere le proprie opinioni».
Movimento liberale popolare e nazionale componente del «partito dei popoli europei» maggioritario nel Parlamento europeo. Naturalmente, a queste affermazioni dovrebbero corrispondere, nei comportamenti politici a livello Nazionale e locale, in Liguria e non soltanto a Gubbio!
Non intendo soffermarmi su quanto di poco liberale sussista nella gestione concreta interna del Pdl, da parte di molte oligarchie locali. Ma, anche sul piano nazionale, il Pdl, proprio per la sua natura presidenziale (vedasi lo Statuto votato, unanimemente, nel congresso fondativo), necessita di «stanze di compensazione» per l'esame e la verifica, in sede politica e parlamentare, delle più significative e, potenzialmente, controverse e controvertibili decisioni da assumere.
Per questo lo statuto prevede la presenza, accanto all'Ufficio di Presidenza (esecutivo), una direzione centrale (di cui faccio parte) e dell'assemblea collegiale con il compito di porsi tra l'esecutivo ed i gruppi parlamentari per la valutazione delle scelte politiche e legislative da compiere. Perciò, quando Fini chiede maggiore collegialità a livello Nazionale e locale, dice non solo «cosa buona e giusta, ma anche fonte di salvezza»!
Si tratta, del resto, di una richiesta tanto ovvia quanto, da me, molte volte, anche se inutilmente, posta all'attenzione dei vertici. Certo, Fini sa benissimo che è «il tono che fa la musica» sicché, quando plaude ad Alfano, per le sue dichiarazioni sulla possibilità di riapertura di processi sulla base di prove certe e non di teoremi, potrebbe, autocriticamente, riconoscere che a Gubbio ha messo un po' troppo aceto nella sua insalata! Così, sulle questioni di rilevanza etica accanto alla libertà di coscienza, che non è in discussione, deve collocarsi anche quella di dibattito e perciò di confronto e, occorrendo, di votazione.
Altrettanto può dirsi in tema di immigrazione clandestina. Qui è la legge dello Stato e non encomiabili empiti umanitari a regolare la materia e la legge deve essere vincolante. Ciò non per acritica accettazione della pressione della Lega, ma per l'interesse dello Stato, della sua sovranità e della sua unità.
Unità e sovranità che la Lega, a partire dai suoi Ministri, dovrebbe considerare indiscussa ed indiscutibile. La dialettica deve perciò essere il fine ed anche il mezzo per risolvere contrasti e dispute, evitando così le proclamazioni stucchevoli di chi si avvale della sacrosanta diversità di opinione, per legittimare una effimera e stucchevole presenza sulla stampa e sulla Tv. Le differenze non sono «fraintendimenti» e le critiche non si risolvono a «tarallucci e vino», ma discutendone apertamente nelle sedi Collegiali del Pdl. Le buone intenzioni (che lastricano l'inferno) possono, ipocriticamente, coprire la realtà reale, che contrasta con le altre proclamazioni. Una cosa, per me, è (e resta) certa, che nel partito si devono affrontare e risolvere i problemi, esprimere lealmente i contrasti e ricercare il loro superamento.


Questo vale per tutti, da Berlusconi e Fini (cofondatori del Pdl) a ciascun aderente, altrimenti si correrebbe il rischio che il Pdl non sia «un partito liberale di massa», come dice Berlusconi ma, semmai, di Carrara, in quanto marmorizzato, cosa da evitare.
*membro della direzione
centrale del Pdl

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