Cultura e Spettacoli

"I manager fanno bene alla cultura"

Il sindaco di Venezia Cacciari, sul caso Bondi-Settis-Resca: «Non possiamo fare a meno dello spirito imprenditoriale anche nella promozione dei beni artistici. Ma c’è un partito di conservatori “parrucconi” che fa resistenza»

"I manager fanno bene alla cultura"

Le polemiche sul supermanager della cultura Mario Resca voluto dal ministro per i Beni culturali Sandro Bondi non si placano. Anzi, le dimissioni di Salvatore Settis dalla presidenza del consiglio superiore per i beni culturali, e la sua sostituzione con Andrea Carandini, rinfocolano la polemica. Tanto che anche ieri il Riformista ha dedicato due pagine alla vicenda. Due pagine in cui il ministro, peraltro difeso a pie’ di pagina dal manager Chicco Testa, è stato messo sotto accusa.
Ma rendere più manageriale la gestione dei beni culturali è una necessità, per il nostro patrimonio? Lo abbiamo chiesto a Massimo Cacciari, filosofo e sindaco di Venezia, anch’egli recentemente contestato per aver «osato» progettare la collocazione di distributori di Coca-Cola nel centro della sua città che molti considerano un intangibile museo a cielo aperto.
Professor Cacciari, appena si sente parlare di manager o di privati in relazione alla cultura, in Italia c’è una levata di scudi...
«A me invece spaventa la mancanza di fondi. A partire da questo dato bisogna ricorrere a tutti i mezzi necessari per ottenere le risorse economiche indispensabili. E questi mezzi non si possono ottenere dallo Stato. Vuoi perché l’economia è quella che è, vuoi perché ci sono altre priorità. È cosi da trent’anni, con governi di destra e di sinistra. E quindi il rapporto tra pubblico e privato è fondamentale».
Ma appena si parla di manager o supermanager...
«Ma sono sciocchezze... Lo spirito imprenditoriale serve. Non è pensabile andare avanti senza attuare delle strategie, reperire fondi. Va fatto nel rispetto delle valenze paesaggistiche, ma gli esperti sulla gestione finanziaria ci vogliono. Nessuno pretende di fargli fare il sovrintendente, devono fare un’altra cosa».
Eppure le opposizioni in questo campo sono forti. L’idea di mischiare economia e cultura evidentemente spaventa.
«Per quanto mi riguarda, è evidente che tutti nel 2009 dovrebbero sapere che i beni culturali sono anche risorse economiche... Chi non se n’è accorto è un parruccone accademico rimasto indietro di qualche secolo... Accanto ai direttori artistici devono esserci competenze manageriali forti. Io non ho mai pensato di mettere distributori di lattine in piazza San Marco. Faccio semplicemente i conti con la realtà. E ho trasformato l’assessorato alla Cultura nell’assessorato alla Produzione culturale. Questo vale per gli enti locali, per i musei, per i teatri... Il concetto di produzione è fondamentale».
Per qualcuno è offensivo.
«Sarà... Per me è offensivo il contrario. Tutti dovrebbero capire che la cultura è un bene a 360 gradi e che devono intervenirvi persone competenti sotto tutti i suoi aspetti, compreso quello economico. Quelli che non vogliono poi mi devono anche dire chi mette i soldi. Chi paga? Paga Pantalone?».
Nel caso del supermanager del ministero per i Beni culturali Mario Resca ha fatto molto scalpore che venisse da McDonald’s. Magari avrebbero preferito un manager di Slow-food...
«Io non conosco Resca, ma ciò che conta sono le competenze economiche, la capacità di organizzare al meglio le risorse che ci sono. Non ci sono altre vie, bisogna che cresca l’aspetto manageriale. Se no, per conservare, i soldi chi ce li dà?».
Altre polemiche ha suscitato l’idea di utilizzare la Protezione civile per intervenire nelle zone archeologiche romane più a rischio, come il Palatino. A Settis non è piaciuta.
«In Italia grazie a Dio la Protezione civile ha reparti specializzati per l’intervento sui beni culturali. Anche a Venezia abbiamo fatto un sacco di esercitazioni specifiche per intervenire in caso di acqua alta o di disastro. Io non vedo il problema. Anzi, la capacità di intervento in questo settore è fondamentale».
Ma allora possiamo dire che in Italia c’è un partito di conservatori che strilla a qualsiasi cambiamento, prima ancora di capire se è buono o cattivo?
«I conservatori ci sono e ci saranno sempre... Il partito della conservazione è immenso e dominante. Per come la vedo io se mettiamo assieme chi vuole conservare e basta e chi invece lavora, ma male, in Italia arriviamo al 90 per cento».
Non è soltanto questione di colore politico. Qualche anno fa se la presero anche con il ministro Ronchey quando voleva aprire i primi bar dentro i musei.
«Sono chiusure folli. Ovvio che se mettessero un McDonald’s dentro il Louvre mi romperebbe le palle. Ma se il bar e il ristorante sono in armonia con la struttura del museo, non ci trovo niente di male. Il ristorante del Guggenheim è stupendo e io a volte ci mangio anche se non visito il museo. E sia chiaro che il McDonald’s a Gardaland va bene... Non si tratta di una questione di regole ma di buon senso».
Ma come mai in Italia c’è questo odio verso il nuovo?
«Se vogliamo trovare ragioni oggettive, sono legate alla dimensione del nostro patrimonio artistico. Obiettivamente c’è una densità e delicatezza dei beni artistici che non ha pari nel mondo. Quindi l’idea di una tutela forte e a oltranza non è priva di fondamento.

Chi vuole tutelare deve però arrendersi all’evidenza: per farlo servono le risorse economiche».

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