"I miei sessant’anni vissuti senza mai padroni"

Edoardo Bennato si racconta: "Ai concerti racconto la realtà". Poi svela: "Nel ’73 mi dissero: è meglio che torni a studiare"

"I miei sessant’anni vissuti senza mai padroni"

Milano - Lui proprio no, figurarsi se si ferma. L’altro giorno ha compiuto sessant’anni ma quasi non se ne è accorto: giusto una piccola festa in famiglia e poi via, in giro a suonare come al solito. D’altronde, che volete, se Edoardo Bennato è un simbolo della nostra canzone è anche merito della sua indipendenza ruspante, dell’incapacità di allinearsi e anche della implacabile vitalità con la quale, sera dopo sera, sale sul palco e giù con la musica. E le parole. Bennato non ha mai fatto prigionieri, ragiona en plein air alla faccia delle convenzioni perciò dice: «Più parlo e più è peggio per me». Ma se lo fa, a guadagnarci sono i fans, visto che lui è uno dei pochi ancora riconosciuti come autorevoli, ossia non compromessi, e i suoi concerti sono riti furiosi e sinceri che uno manco ci pensa che Bennato, quello lì tosto sul palco, è arrivato a sessant’anni perché è rock come quando ne aveva venti.

E lei, caro Bennato, ci ha pensato?
«Meglio non farlo. Questo compleanno è solo uno spiacevole incidente».

Però di solito è tempo di bilanci.
«Mai fatto un bilancio nella mia vita, tantomeno ora. Non sono proprio predisposto. E comunque sono troppo preso dal presente».

Vale a dire?
«I miei concerti. E le nuove canzoni. Una di queste, Un aereo per l’Afghanistan, quando la canto suscita emozioni enormi, intensissime».

Perché non le pubblica in un cd?
«Da due anni cerco un’etichetta discografica. Ma ora forse l’ho trovata e tra pochi mesi ci siamo: uscirà il disco».

Bennato è sempre in salita.
«All’inizio io ce l’ho fatta solo perché ho sfruttato quella che chiamo la lobby cultural mediatica. Altrimenti zero».

Spieghi.
«Avevo pubblicato il mio primo disco, nel marzo 1973 con la Ricordi, Non farti cadere le braccia, e ci credevo molto. Per promuoverlo facevo persino concerti nei Conservatori con un quartetto d’archi. Ma non lo comprò nessuno.

E allora?
«Dopo qualche mese vado dal gran capo che mi dice papale papale: “Non abbiamo nulla da rimproverarci. La tua voce è sgraziata e alle radio non piace. Bennato, forse è meglio che lasci perdere”».

Amen.
«Lui aggiunse: “Stai studiando vero? Allora fai l’architetto”».

Da smontare ogni entusiasmo.
«Invece no. Capii che ci voleva l’appoggio degli opinion leader, dei giornalisti, di chi crea il consenso».

Regola spietata.
«Mi piazzai davanti a Vanni, il bar di piazza Mazzini a Roma, strategicamente vicino alla Rai. Avevo anche il mio tamburello a pedale».

Ecco il colpo di scena.
«Cominciai a cantare e passarono tre giornalisti di Ciao 2001, allora uno dei giornali di musica più influenti. Mi segnalarono e qualche tempo dopo qualcuno mi invitò a un Festival di Civitanova Marche. Arrivai che non ero nessuno. Scesi dal palco che ero diventato Edoardo Bennato, il rappresentante del disagio dei giovani».

Una garanzia di successo, in quel periodo.
«La musica passava sotto le forche caudine della politica. Io giravo i Festival, anche quelli dell’Unità o di Lotta continua. Ma non avevo la bandiera di nessun altro, solo la mia».

Lo dicevano in tanti.
«Ma nessuno chiudeva i concerti come me, cantando Faccetta nera e Bandiera rossa».

Dici Bennato e pensi a «Sono solo canzonette, non mettetemi alle strette...».
«Una frase ironica. Cantata 29 anni fa».

Ma la gente la usa ancora oggi.
«Spero che ci si renda conto che io sono sempre stato fuori dal sistema, specialmente da quello di sinistra».

Perciò Bennato ha resistito al tempo.
«Venire ai miei concerti è come sfogliare i quotidiani. Tutti, non solo quelli di una parte politica».

A proposito di politica, come la vede?
«C’è un’opposizione che lavora ogni giorno, tutti i giorni, non per contribuire a migliorare la situazione ma solo per mandare via chi governa, cioè Berlusconi, e prendere il suo posto. Una roba da operetta».

Dov’è finita la famosa lobby che la scoprì?
«Oggi non c’è una lobby di nessun tipo che mi sostiene».

Potrebbe inventarsi un altro colpo di scena tipo quello del ’73.


«No, ormai sono conosciuto e la gente mi direbbe: ma cosa vuoi, sei già stato fortunato, vedi di accontentarti».

E lei si accontenta, Bennato?
«No, penso solo al presente, che poi è l’unico modo per avere un futuro».

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