I "no-base" contro la sinistra: attaccata la senatrice pacifista

Duro confronto con Livia Menapace, del Prc, in visita all’aeroporto Dal Molin: "Basta promesse, serve un segnale di rottura". Rifiutato un incontro con la delegazione di Palazzo Madama

Vicenza - Si erano dati appuntamento per le due del pomeriggio, pensavano che i parlamentari sarebbero stati puntuali. Invece i cinque membri della commissione Difesa del Senato sono arrivati all'aeroporto Dal Molin alle quattro e mezzo, costringendo il popolo della protesta ad attenderli al freddo, sotto un nevischio fastidioso, esposti a una brezza gelida. È diventato fango il terreno accanto alla base militare su cui è stato piantato il tendone bianco, il presidio permanente diventato simbolo dei pacifisti che si oppongono alla trasformazione del piccolo scalo in una grande caserma per 2000 soldati americani. Il fuoco regge a fatica, i manifestanti cercano cucine da campo e bombole di gas, bisogna attrezzarsi per il generale inverno.
Erano circa 200, aspettavano i senatori per fischiarli. «Vergogna, vergogna», hanno urlato quando dal grigiore si sono profilate le sagome delle auto blu. Dal presidio si è formato un serpentone di vetture antimilitariste dirette alla vecchia entrata dell'aeroporto. Il robusto cordone di polizia ha tenuto. Nella base il brigadiere generale dell'aeronautica Domenico Esposito attendeva gli ospiti. Bordate di fischi e rulli di tamburi hanno accompagnato l'ingresso di Sergio De Gregorio, presidente della Commissione, e di Giulio Marini, Luigi Ramponi e Carlo Terrin. Il quinto commissario, l'ottantaduenne senatrice di Rifondazione Livia Menapace, si è invece staccata dai colleghi mescolandosi ai dimostranti.
Cappotto pesante, berrettone di lana grossa fatto a mano, la storica rappresentante del movimento pacifista (e presidente mancata della stessa commissione Difesa) si è diretta verso il tendone dove, impugnando un megafono, ha improvvisato una specie di conferenza stampa che si è trasformata ben presto in un'assemblea pubblica con i «no-base». E non è stato un faccia a faccia morbido. Le decine e decine di manifestanti volevano sapere una cosa soltanto: come si sarebbero comportati lei e gli altri 120 parlamentari contrari alla nuova struttura Usa quando il governo darà il benestare ufficiale. «Vogliamo un chiaro segno di discontinuità e di rottura», è stato il coro salito dalla platea. Sembrava quasi che la gente fossa accorsa al presidio soprattutto per fare capire alla Menapace che delle promesse e delle petizioni senza seguito non sanno che farsene. La senatrice ha detto che bisogna «salvaguardare Vicenza e la sua storia», che l'ampliamento della base «è un diktat», che crede «nel referendum e nella manifestazione del 17 febbraio».
La commissione ha chiesto di poter incontrare una delegazione dei comitati per il no, ma ha ricevuto un rifiuto. I pacifisti hanno consegnato l'appello per la giornata del 17 e una serie di domande sull'impatto ambientale del progetto, dicendo che non si sarebbero seduti al tavolo con politici «che vengono a Vicenza per preparare il terreno a una decisione già presa».
Le proteste si sono poi spostate nel centro della città. I cinque senatori dovevano incontrare il prefetto e il sindaco e il rumoroso corteo «no-war» gli è andato dietro. Come la scorsa settimana quando fu occupata la stazione ferroviaria e scoppiarono i primi tafferugli, anche ieri sera agenti e transenne hanno presidiato piazza dei Signori e le vie pedonali attorno.

Non si sono registrati incidenti. Più tardi la Commissione ha ricevuto sia i comitati per il sì alla base sia quelli per il no, dopo il diniego di poche ore prima. Il sopralluogo dei senatori prosegue anche oggi. E proseguiranno anche le contestazioni.

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